sabato 15 febbraio 2020

Galileo Galilei, l'italiano che rivoluzionò la scienza

Nato a Pisa il 15 febbraio 1564 da famiglia di antiche origini ma mezzi modesti, Galileo Galilei era il maggiore dei sette figli di Vincenzo Galilei e Giulia Ammannati, il padre fiorentino della borghesia decaduta, la madre con due porpore cardinalizie nell’albero genealogico.

Vincenzo era un musicista di valore, ma si guadagnava la vita lavorando a bottega dalla famiglia della moglie, fino a quando a Firenze divenne musico di corte. Galileo fu mandato al monastero di Vallombrosa a studiare greco, latino e logica. Lì fu attratto dalla vita monastica e diventò novizio.

Vincenzo, contrario a questa svolta mistica che non avrebbe fruttato denari, gli cambiò scuola e, a 17 anni, lo iscrisse al collegio La sapienza di Pisa per garantirgli una carriera nella medicina. Ma anche qui Galileo scelse di testa sua, preferendo la matematica all’anatomia. Amava la dialettica ed era un attaccabrighe, cosa che rese inevitabile lo scontro con la monolitica scienza aristotelica.

RIVOLUZIONARIO. Per quasi due millenni nessuno si era azzardato a discutere il pensiero di Aristotele (IV secolo a. C.) secondo cui il moto dei corpi è determinato dalla loro natura, per cui un oggetto pesante cade per esempio più velocemente di uno leggero, teoria che sembra ovvia osservando una pietra e una piuma. Questo universitario toscano alquanto superbo trovò invece il modo di confutarla. E non fu l’unica scoperta del giovane Galileo: si trovava nel Duomo di Pisa quando rimase ipnotizzato dall’oscillazione di un lampadario. Secondo la leggenda, usando il suo polso come cronometro determinò che il periodo di oscillazione del pendolo non dipende dall’ampiezza.

TESTARDO. Alla fine Galileo chiese al padre il permesso di cambiare corso di studi. “C’è molto lavoro per un medico e poco per un matematico” gli rispose Vincenzo. Così, a 21 anni, Galileo abbandonò l’università senza laurearsi. Tornato a Firenze, si mantenne scrivendo articoli e dando lezioni. Un suo saggio sull’idrostatica richiamò l’attenzione del marchese Guidobaldo del Monte, autore del Mechanicorum liber, considerato allora il miglior trattato di statica.

Ci volle poco perché il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici lo prendesse sotto la sua protezione.

Nel 1589 gli fu offerto un posto di professore di matematica all’Università di Pisa; ma restava un problema, che lo accompagnerà tutta la vita: l’affannosa ricerca di denaro. Era sul gradino più basso della carriera universitaria, e per sopravvivere dovette prendere a pensione qualche ricco allievo. Intanto a Pisa cresceva la sua leggenda: ancora oggi lo immaginiamo salire le scale della torre pendente per far cadere due palle di cannone di peso diverso e contraddire il totem aristotelico. In realtà l’esperimento lo fece un olandese, ma fu Galileo a teorizzarlo: due corpi qualsiasi che cadono nel vuoto, cioè senza l’attrito dell’aria, toccano terra contemporaneamente.

CAPOFAMIGLIA. Nel 1591 morì il padre, e su Galileo piombò la responsabilità di provvedere a fratelli e sorelle. All’Università di Padova, nella Repubblica veneta, gli offrirono un incarico meglio pagato. Lui intanto affermava nelle lettere al collega Keplero di aderire alla teoria copernicana, ma di non essersi azzardato a pubblicare le sue tesi per timore di subire lo stesso destino del maestro Copernico, oggetto di scherno nella comunità scientifica. Galileo era irruente, ma non stupido. Keplero lo esortò invece ad andare avanti. La cosa più triste – e che dimostra la debolezza dell’uomo – fu che in seguito Galileo ignorò del tutto Keplero e le sue lettere. Albert

Einstein, secoli dopo, dirà quanto lo aveva addolorato sapere che “Galileo non riconobbe il valore di Keplero”.

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