Il presidente della Cop21, Laurent Fabius, ha presentato l'accordo finale sul cambiamento climatico come "un accordo differenziato, giusto, durevole, dinamico e giuridicamente vincolante". Secondo lui, il testo sottoscritto dai 195 Stati rappresentati alla conferenza, "[...] costituisce il miglior equilibrio possibile e permetterà a ogni delegazione di rincasare a testa
alta, con un'esperienza importante". Il consenso ottenuto è una prodezza diplomatica senza precedenti nella lunga lista delle conferenze internazionali sull'ambiente dopo Stoccolma 1972. Ma dal punto di vista eco-climatico questo trionfo è costato caro. La stampa e il settore audiovisivo francese avranno notato la scomparsa della maggior parte dei climatologi, tra cui due vicepresidenti del Giec (Gruppo di esperti intergovernamentale sull'evoluzione del clima): sono stati sostituiti con dei politici o con avventurieri professionisti, abituati agli studi televisivi. Un momento abbastanza comico sembra essere sfuggito a molti degli entusiasti della Cop21: il 12 dicembre Barack Obama ha tessuto gli elogi dei risultati acquisiti "sotto la leadership degli Stati Uniti", presentando gli Usa come se fossero tra i primi nella lotta ecologica. E senza ridere, mentre proprio nel Paese l'estrazione dei gas da scisto (combustibili fossili quant'altri mai) sta provocando disastri ambientali senza precedenti... L'accordo finale mostra intenzioni più ambiziose dell'obiettivo iniziale, che mirava a limitare ilriscaldamento sotto la soglia dei 2°C. Adesso si parla di mantenerlo "largamente " al di sotto in confronto ai livelli preindustriali e di cercare di abbassarlo ancora verso 1,5°C. "In confronto ai livelli preindustriali " è, ed è opportuno soppesare le parole, un'espressione derisoria, perché all'epoca della "Piccola era glaciale", durata fino al 1850 circa, il riscaldamento non era all'ordine del giorno: allora la grande paura degli "scienziati" e del pubblico era il raffreddamento per morte termica dell'universo.
La debolezza dell'obiettivo di riduzione delle emissioni mondiali di gas a effetto serra è evidente, perché si parla soltanto di stabilire "quanto prima" un tetto, quindi si converrà che è ben lontano dall'essere vincolante. Le ambizioni precedenti, che miravano a una riduzione delle emissioni tra il 70 e il 95 per cento, sono state abbandonate, ed è proprio questo tipo di arretramenti che ha reso possibile l'accordo "storico". Le "parti" sono addirittura riuscite a fissarsi come obiettivo non più di ridurre le emissioni bensì semplicemente di equilibrarle attraverso dei "depositi " di carbonio. In effetti si sa che le piante in crescita e il plancton degli oceani sono "depositi" che riducono il tasso di anidride carbonica nell'atmosfera. Si noti anche che questo modestissimo obiettivo è previsto per la seconda metà del XXI secolo...
Siamo lontani dalle raccomandazioni degli esperti del Giec, che ritengononecessario un abbassamento delle emissioni mondiali tra il 40 e il 70 per cento entro il 2050 se si vuole evitare uno sconvolgimento forse incontrollabile del clima.
Il testo dell'accordo finale riconosce la "differenziazione", cioè il fatto che i Paesi del Sud, che inquinano meno di quelli del Nord, devono ricevere degli aiuti da questi ultimi, e di conseguenza che "deve essere dato un sostegno ai Paesi in via di sviluppo" dalle nazioni più avanzate dal punto di vista economico.
È giusto, ma l'idea era già stata formulata nella Convenzione quadro della conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e non ha avuto effetti significativi. La promessa era stata rinnovata nel 2009. Oggi l'annuncio di un contributo finanziario annuo di 100 miliardi di dollari (fino al 2020) ai Paesi in via di sviluppo pretende di avere un'eco stratosferica. Tuttavia si tratta di una cifra irrisoria, equivalente a poche ore di speculazioni finanziarie nel mondo. Senza contare che non c'è nessuna precisazione sulle fonti di questa presunta sovvenzione. Regalie? O magari prestiti bancari che andrebbero a indebitare ancora di più i Paesi poveri? L'accordo di Parigi non lo specifica, lasciando intendere che questa sovvenzione debba essere intesa come una cifra di base che potrebbe aumentare. Vedremo se succederà e soprattutto a quali condizioni i prestiti dovranno essere rimborsati.
Oggi 190 Stati su 195 si sono impegnati a riduzioni delle emissioni di gas serra che farebbero rientrare il riscaldamento in una traiettoria che raggiunge i 3°C. Una concessione che colloca il pianeta in prospettive definite "catastrofiche", tanto più che l'assunzione di impegni vincolanti era, fino a poco fa, presentata come una necessità assoluta. È ormai evidente che i partecipanti alla Cop21 hanno rinunciato a molte delle ambizioni che nutrivano quando sono arrivati a Parigi. Non dimentichiamo che l'accordo in questione entrerà in vigore solo nel 2020 e che "in qualsiasi momento nell'arco dei tre anni successivi all'entrata in vigore" un Paese potrà ritirarsi dall'accordo. Sapendo che dopo il protocollo di Kyoto (siglato nel 1997), al quale nessuno crede più eccetto qualche funzionario internazionale coinvolto negli aspetti amministrativi, le emissioni antropiche sono aumentate del 40 per cento (mentre avrebbero dovuto essere ridotte del 5,2 per cento entro il 2012), per l'accordo "storico" di Parigi si teme il peggio.
Nessun commento:
Posta un commento