I segni lasciati sulla carcassa di un mammut rinvenuto nel nord-est della Siberia stanno aiutando a riscrivere la storia delle migrazioni umane nell'emisfero nord.
Per uccidere il mammut, le cui ossa risalgono a 45 mila anni fa, i nostri
antenati dovevano già essere presenti nell'Artico almeno 10 mila anni prima di quanto ipotizzato finora. Le più antiche tracce umane rinvenute nell'area risalivano, infatti, a 35 mila anni fa, ma i dati raccolti da Vladimir Pitulko, paleontologo dell'Accademia Russa delle Scienze di San Pietroburgo, descrivono un quadro diverso.
UNA BRUTTA FINE. I resti del mastodonte sono stati rinvenuti nel 2012 nella Baia di Yenisei, alla latitudine di 72° nord, ma solo recentemente sono stati sottoposti a un test di datazione al radiocarbonio.
I tagli trovati su capo, zanna destra, scapola sinistra e costole non lasciano dubbi: il mammut fu ucciso con armi affilate, probabilmente delle lance, e macellato con utensili adatti. Qualcuno avrebbe anche provato a rimuovere frammenti di avorio da una delle zanne.
CHI È STATO? Nessun resto umano è stato rinvenuto vicino all'animale, ma difficilmente potremmo attribuire la caccia ai Neanderthal o ai Denisoviani. Benché tecnicamente capaci di uccidere un mammifero di grossa taglia, i Neanderthal non si spinsero mai così a nord: le prove che abbiamo del loro passaggio in Eurasia rimangono tutte sotto i 48° di latitudine.
L'INGRESSO IN NORD AMERICA. Altri resti di un animale ferito (un lupo) vissuto nello stesso periodo, più vicino allo Stretto di Bering, porterebbero a collocare la presenza dei nostri antenati vicino al passaggio tra Siberia e Alaska - e forse anche il loro ingresso in Nord America - molto prima dei 15-20 mila anni fa finora ipotizzati.
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