lunedì 7 agosto 2017

Il divorzio quando la legge sul divorzio non c'era

Il 12 maggio 1974 gli italiani furono chiamati alle urne e sancirono che la possibilità di sciogliere un matrimonio poco gradito è un diritto da salvaguardare. Così la volontà popolare salvò una legge in vigore da quattro anni ma osteggiata
dai movimenti di opinione cattolici che volevano abrogarla via referendum. La legge quindi rimase, e oggi il problema non si pone nemmeno più. Ma prima, come se la cavavano quei mariti e quelle mogli ansiosi di dirsi addio, magari un po’ prima del “finché morte non vi separi”?

NEL NOME DI DIO. Il divorzio era una possibilità fra i Greci e, per un certo periodo, per i Romani. Poi, col cristianesimo, le cose cambiarono. «Fu la Chiesa a mutare l’idea di matrimonio trasformandolo in un legame sacro e, pertanto, indissolubile» spiega Chiara Maria Valsecchi, docente di Storia del diritto medievale e moderno all’Università di Padova e autrice di In difesa della famiglia? Divorzisti e antidivorzisti in Italia tra Otto e Novecento (Giuffré).

Talvolta le unioni si riuscivano ad annullare ricorrendo all’autorità ecclesiastica, ma era ovviamente una via praticabile da pochi, che richiedeva motivazioni precise (non era certo prevista l’incompatibilità di carattere) e comunque non scontata: dipendeva dai rapporti di forza fra il richiedente e la Chiesa, quando non rappresentava addirittura una scelta politica. Difficoltà che hanno spinto in più di un caso gli interessati a trovare scorciatoie talvolta un po’ spregiudicate. 

SE LO DICE IL PAPA. Ironia della sorte, le manovre più azzardate furono proprio quelle escogitate da un papa, quell’Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, che con le politiche matrimoniali imposte ai suoi figli tenne stretto il potere per tutto il suo pontificato.

Lucrezia Borgia (1480-1519) impose tre mariti, due dei quali finiti male. Per poter procedere all’annullamento del primo matrimonio con Giovanni Maria Sforza, il papa accusò lo sposo di impotenza. La scorciatoia non risultò ovviamente gradita a Giovanni, né tantomeno la soluzione offerta dal cugino Ludovico il Moro di dimostrare la propria virilità davanti a testimoni. Giovanni rifiutò l’esibizione ma alla fine capitolò e firmò la dichiarazione d’impotenza. A sbarazzarsi di un amante scomodo (che aveva forse causato una gravidanza di Lucrezia) e del secondo marito, Alfonso d’Aragona (di cui lei era tra l’altro innamorata, rara eventualità in nozze di questo tipo), pensò il fratello Cesare, detto il Valentino, organizzando l’assassinio di entrambi. 

Lo scacchiere delle alleanze dei Borgia mutava rapidamente e si preferiva eliminare il problema. Solo il terzo marito, Alfonso D’Este, scampò ai loro intrighi e sopravvisse alla moglie

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