domenica 29 aprile 2018

Youtopia: recensione del film con Matilda De Angelis nel deep web

Anche se Berardo Carboni ama definirlo un "dramma felice" perché, nell'abisso di desolazione che descrive, un messaggio di speranza, per quanto debole come una
fiammella nella notte, esiste, Youtopia fotografa una realtà piuttosto deprimente, un contesto (urbano e sociale) che, come una gabbia, tiene prigionieri quattro o cinque personaggi destinati forse per sempre a girare su una ruota come criceti impazziti. E’ una coraggiosa istantanea della borghesia impoverita e che non possiede gli strumenti né la combattività di chi non ha nulla da perdere il nuovo film con protagonista Matilda De Angelis, la bella ragazza bruna che nelle riviste veste Prada e Gucci ma che davanti alla macchina da presa non ha esitato a spogliarsi per essere semplicemente "vera". E vera la compagna di set di Stefano Accorsi in Veloce come il vento lo è, in questo film, dalla punta dei piedi alla radice dei capelli, perché la ragazza è una che studia e matura di esperienza in esperienza, e perché ha davvero messo tutta se stessa nell'interpretazione di un'adolescente disposta a vendere la propria verginità al miglior offerente.
Che gesto estremo il suo… un gesto che non c'entra né con l'esibizionismo né con un capriccio, perché per questa diciottenne malinconica che ha una mamma alcolizzata, la nonna con l'alzheimer e nessuna figura maschile di riferimento, denudarsi per un pubblico di sconosciuti è la via più facile per uscire dalla miseria, per pagare l'ipoteca della casa, per non sprofondare. Carboni non giudica una scelta tanto trasgressiva, così come osserva con atteggiamento neutro il frequentatore del deep web Ernesto (Alessandro Haber), che di notte invita le prostitute nella sua farmacia e che proprio non ce la fa a non tradire la moglie, ossessionato com'è dai corpi giovani e dalla loro purezza, e dall'esigenza di possesso. Lui, soprattutto lui, è l’emblema di un mondo malato nel quale nessuno ha ciò che desidera, nessuno si accontenta mai e nessuno si vuole bene, un mondo in cui il regista voleva immergersi come in un bassofondo o sottosuolo naturalistico e che confina in spazi angusti, in tristi appartamenti male ammobiliati.
"Gioca" all'iperrealismo insomma Berardo Carboni e, pedinando i personaggi, riprendendoli con stile asciutto, la muove bene la sua macchina da presa, soprattutto quando si incolla al viso di Matilde/Matilda e quando si prende una pausa dallo squallore del quotidiano rifugiandosi nella virtuale Landing, dove non ci sono chiavi da trovare come nella spielberghiana Oasis, ma un po’ di pace e un amico di nome Hiro che parla con la bellissima voce di Antoine-Olivier Pilon. E’ questa parte di "evasione" (girata con la tecnica del "machinima") la più bella del film, che ci rivela che internet non è necessariamente croce, ma anche delizia, o meglio salvezza e "favola", una favola dove non ci sono orchi né streghe ma principi azzurri che regalano universi immaginari.
Laddove invece Youtopia convince poco è nella rappresentazione della vita familiare di Matilde. Sembra quasi che, a forza di insistere sull'infelicità della ragazza e del suo focolare, il regista quasi si compiaccia di questo squallore, che a un certo punto comincia a raccontare attraverso melodramma, un melodramma nel quale la mamma di Matilde diventa inesorabilmente caricaturale: nei gesti, nei pianti, nel modo di parlare e di versarsi da bere, e di fare da sensale alla figlia, abdicando completamente al ruolo materno e a ogni dignità umana e femminile. E’ una figura tragica la sua, che avrebbe potuto dare un che di classico al film, e invece, man mano che precipita nel tunnel, il personaggio sfiora sempre più il ridicolo. Ora, siccome Donatella Finocchiaro è una brava attrice, è probabile che nella sua ostentazione della più nera disperazione abbia seguito le indicazioni del regista, ma è un'interpretazione a cui non crediamo fino in fondo, e non crediamo nemmeno al bizzarro aiuto-farmacista che asseconda i giochetti di Ernesto. Anche lui è grottesco, e il grottesco è difficile che vada d’accordo con l'iperrealismo. Meglio allora l'alternanza - che nel film c’è - fra bruttezza della vita e poesia.
Nonostante questo, Youtopia è un film necessario, in particolare per ciò che dice sulla mercificazione del corpo femminile. E poi ben rappresenta la giovinezza rubata, quella di una Cenerentola che si veste di azzurro non per andare al ballo ma per farsi toccare da un laido sessantenne. E comunque il ballo, se c'è, è dentro un computer e non fuori da casa, in una Roma che nemmeno si vede, o che nessuno si preoccupa di guardare perché contemplare un paesaggio, o un mare come quello che la barca di Ernesto ha probabilmente attraversato, è un lusso che non ci si può prendere. Ma sognare si può, si può ancora. Che cosa? Una vita normale prima di tutto. La normalità… ecco l'utopia. Per molti, oggi, è destinata a restare un miraggio.

Nessun commento:

Posta un commento