domenica 5 giugno 2016

CINEMA - "COLONIA" RECENSIONE

È il 1973 e in Cile la sorte del paese sta volgendo al peggio. Con un colpo di stato il Generale Augusto Pinochet si insedia alla guida del governo avendo dalla sua parte polizia e militari. Il dittatore inizia a scrivere molte ignobili pagine di storia
macchiate col sangue dei cileni e di chiunque altro si opponga al suo regime di terrore. Colonia si basa dunque su una tragedia realmente accaduta avvalendosi di due personaggi creati dagli sceneggiatori, per raccontare quali orrori abbiano avuto luogo per anni nel campo di prigionia chiamato Colonia Dignidad.
Il fotografo tedesco Daniel, interpretato dal sempre bravo Daniel Brühl, è rapito e deportato in quella segreta colonia nel sud del paese gestita da un viscido predicatore. Oppressioni, torture, schiavismo fisico e psicologico sono all’ordine del giorno per i detenuti e l’unico modo che Lena ha per tentare di tirar fuori il suo ragazzo è quello di unirsi come volontaria tra le donne lavoratrici. Emma Watson, nonostante il viso acqua e sapone, regge con mestiere e intelligenza una performance matura che coincide con il punto di vista narrativo per quasi tutto il film.
Ricordare un ennesimo caso in cui la razza umana ha dato il peggio di sé non è l’unico valore di Colonia. Il regista Florian Gallenberger non si complica la vita né la complica agli spettatori, assicura in pochi minuti il contesto storico nel quale introduce i due personaggi principali con essenziali informazioni. Si amano e sono contro il regime, questo è quanto serve sapere. Il resto è la cronaca di una detenzione nella Colonia Dignidad, narrata come un thriller sentimentale. C’è coerenza dall’inizio alla fine e il film si fa apprezzare per questo, senza cercare di essere gratuitamente disturbante. 

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