venerdì 2 ottobre 2020

LA FESTA DEI NONNI


 Oggi, 2 ottobre, si celebra la festa dei nonni, una ricorrenza di cui non esiste una vera e propria tradizione. In Italia è un appuntamento abbastanza recente (fu introdotta nel 2005 con una legge, per riconoscere e celebrare "l'importanza del ruolo svolto dai nonni all'interno delle famiglie e della società in generale"). Negli Stati Uniti viene festeggiata dal 1978, la prima domenica di settembre; in Spagna e Portogallo cade il 26 luglio; in Francia a marzo; mentre in Polonia si festeggiano solo le nonne (e il 21 gennaio). Ma ha un senso, perché i nonni hanno un'importanza sempre maggiore nella società moderna.

 

NONNI DA 18 MILIARDI DI EURO. Che i nonni rappresentino un vero tesoro per nipoti e figli è tanto vero quanto evidente, ma il tempo, le coccole, i giochi e anche i vizi che donano agli altri quanto possono valere in soldoni?

 

La risposta arriva dall'IRES, l'istituto di ricerche economiche e sociali della CGIL: nell'indagine Il capitale sociale degli anziani (2010) stimava che dei quasi 7 milioni di nonni italiani ben 6 milioni si prendono cura dei propri nipoti, per un valore economico che si aggira intorno ai 18 miliardi di euro l'anno, pari all'1,2% del PIL (Prodotto Interno Lordo).

 

E anche se le coccole non hanno prezzo, l'aiuto dei nonni innesca una spirale di economie positive, permettendo alle mamme di riprendere il lavoro e alle famiglie di risparmiare i costi di strutture private e baby sitter a cui affidare i bambini, per un valore compreso tra i 496 milioni e gli 1,3 miliardi di euro. Un motivo in più per festeggiare questi nonni così importanti nella vita di chi ha la fortuna di averli vicino così come nella società, ma non solo oggi, festa dei nonni: tutti i giorni dell'anno.

 

MA PERCHÉ SI FESTEGGIA IL 2 OTTOBRE? Perché nel calendario liturgico cattolico, il 2 ottobre è la festa degli Angeli Custodi.

 

CHI SONO GLI ANGELI? La storia degli angeli, dal greco ánghelos, inviato, messaggero, intermediari tra gli uomini e la divinità, è presente in molte culture e religioni. Gli angeli figurano già in alcune culture precristiane: nel mito persiano, per esempio, esistono Isfendar, angelo tutelare della castità femminile e della pace in famiglia, e i cinque Farvar, che si pongono a fianco dell’uomo e lo proteggono dal nemico.

 

Per gli Assiri e i Babilonesi il dio Anu aveva al proprio servizio esseri chiamati sukkal (che significava messaggeri). Tra i Babilonesi troviamo tra gli altri, Papsukal e Gibil, entrambi con l’incarico di messaggeri della volontà divina.

 

Alcuni storici ritengono che il periodo passato in esilio dagli Ebrei a Babilonia (VI secolo a.C.) sia stato decisivo per acquisire nella loro cultura gli esseri angelici. Per esempio, i grifoni alati mesopotamici vengono ritenuti i prototipi dei Cherubini biblici.

 

In Persia erano così... Altri 2 “angeli” a 4 zampe e barbuti, non al servizio del Dio biblico, ma di Ahura-Mazda, il dio supremo di Zoroastro (VI secolo a. C.). |

AIUTANTI DI DIO. Grande influenza avrebbe avuto anche la religione persiana di Zoroastro, profeta del dio supremo Ahura-Mazda, che aveva generato 7 entità chiamate amesha spenta (immortali benefici). Queste collaborarono alla creazione del mondo e intervenendo noi nelle sue vicende, proprio come gli Arcangeli dei cristiani. Questa religione monoteista prevedeva, 600 anni prima di Cristo, anche figure simili agli angeli custodi, le fravashi. Erano “doppi” spirituali di ogni individuo, preesistenti alla nascita delle persone e permanenti dopo la loro morte.

 

COSÌ PARLO ZARATHUSTRA. Lo zoroastrismo, che influenzò il filosofo ebreo Filone d’Alessandria, ha ispirato anche la “teosofia”, nata nell’Ottocento per collegare la scienza, il positivismo occidentale, al misticismo orientale. Per esempio, con la definizione di “corpo astrale”, un doppio spirituale che esisterebbe fuori dal nostro corpo in un’altra dimensione. Figure di tipo angelico erano presenti anche nell’antica Grecia: la protettrice di Achille, Athena, si comportava da messaggera alata, così come Ermes con un altro suo protetto,Ulisse.

 

Nella religione tibetana, gli angeli possono essere sia di sesso maschile sia femminile, mentre in quella cristiana si discute spesso del sesso degli angeli (tanto da diventare un modo di dire).

 

Nella religione ebraica gli angeli (“malak”), creati da Dio nel secondo giorno, hanno il compito di onorare Dio e di presentare la sua volontà agli uomini; tre arcangeli (Michele, Gabriele e Raffaele) hanno la funzione di guida. Attorno a loro gravitano miriadi di angeli i cui nomi terminano tutti in -el, cioè Dio.

 

Gli angeli hanno avuto un ruolo fondamentale in molte religioni come ambasciatori di Dio e suoi esecutori. Nella religione cattolica si fanno vedere nei momenti più importanti, come questo Angelo piangente, particolare da una Crocifissione di Giotto. |

ANCHE I FILOSOFI CREDONO NEGLI ANGELI. Il filosofo Platone si riferiva a mediatori fra il cielo e la Terra, come Eros. Aristotele parlava di creature di puro spirito non soggette alle passioni umane, ma capaci di rendere possibile il movimento dell’universo. I cori angelici danteschi del Medioevo e le principali gerarchie derivano da questa visione aristotelica.

 

Nell’Islam sono previsti tre tipi di creature alate: gli angeli, con funzioni simili a quelle previste dall’ebraismo e dal cristianesimo, i jinn, che possono essere ostili o benevoli per l’uomo, e i diavoli.

 

CUSTODI. Gli angeli custodi “arrivarono” solo dopo la Controriforma, in risposta ai protestanti che avevano relegato le schiere angeliche al ruolo di semplici comparse.

 

Vedi anche: l'evoluzione degli angeli in foto

 

STORIA MODERNA. Ma che si creda o no agli angeli, l’argomento resta serio. Per dirla col celebre psicanalista Carl Jung, 4.000 anni di fede in queste creature eteree hanno creato una “verità” depositata in un grande serbatoio chiamato “inconscio collettivo” (in pratica una visione del mondo comune a tutti e acquisita quasi inconsapevolmente), e gli angeli sono importanti “archetipi culturali”, cioè punti di riferimento del nostro modo di pensare, sia per chi crede sia per chi non li riconosce.

 

Non c’è neanche tanto da stupirsi se un biologo evoluzionista come Rupert Sheldrake, crede in loro, anche se in un modo moderno: secondo lui sarebbero i codificatori della “forma” non solo dell’uomo, ma di tutte le specie della Terra. In pratica, i custodi dell’“idea” di Dna.

 


mercoledì 16 settembre 2020

Una delle scuse più utilizzate dai bracconieri e dai cacciatori di trofei che vanno a caccia di elefanti è "ma noi uccidiamo solo i maschi vecchi!" - i quali, stando a quanto sapevamo finora sulla struttura sociale di questi mammiferi, sono esemplari solitari e che perciò (è l'argomentazione dei cacciatori) non contribuirebbero alla sopravvivenza del branco. Un nuovo studio condotto da Connie Allen, dottoranda all'università dell'Exeter e membro della non profit Elephants for Africa, pubblicato su Nature, smonta questa idea rivelando per la prima volta il ruolo cruciale degli esemplari maschi più anziani per il branco.

 

A SPASSO PER IL BOTSWANA. Il team di ricerca ha seguito, sia direttamente sia tramite l'uso di fototrappole, gli spostamenti di circa 1.250 elefanti che vivono nell'area del fiume Boteti, nel  parco nazionale di Makgadikgadi Pans, in Botswana. La prima cosa che hanno rilevato è che circa il 20% degli avvistamenti riguardavano maschi solitari in età avanzata, e che gli adolescenti soli erano molto meno frequenti: secondo Allen e colleghi, è una chiara indicazione che le traversate in solitaria sono pericolose, e i maschi più giovani tendono a evitarle, se possono. Intuizione rinforzata da un altro dato: la maggior parte dei maschi anziani avvistati non viaggiava in solitaria, ma alla guida di un gruppo di maschi più giovani, per far loro da insegnanti.

 

NON SOLO LE FEMMINE. Il ruolo pedagogico delle femmine di elefante, anche le più anziane, è noto da tempo: fanno da guida agli esemplari più giovani, che ne osservano il comportamento e imparano letteralmente a stare al mondo. Le osservazioni di Allen confermano che anche i maschi anziani hanno un ruolo analogo: i più giovani li usano come modello, per assorbirne l'esperienza e prepararsi all'età adulta. Ucciderli significa quindi eliminare quelli che sono a tutti gli effetti elementi chiave per la sopravvivenza del branco, e interrompere il flusso di trasmissione delle informazioni tra generazioni, con conseguenze potenzialmente disastrose per questi animali.

 


 L'idea iniziale era creare una barriera di 8.000 km che attraversasse l'Africa, dal Senegal al Gibuti, contrastando l'avanzata del deserto del Sahara e del Sahel. Concepita nel 2007 dall'Unione Africana, a oggi lo stato di avanzamento della Grande Muraglia Verde è fermo al 4% - e intanto il tempo scorre. Nel primo report pubblicato dal consiglio dei ministri regionali si chiedono più fondi, maggior supporto tecnico e controlli più rigorosi: senza tutto ciò, il sogno di una vita migliore per gli abitanti di quei territori, in un ambiente con un'atmosfera più pulita e in un continente meno segnato da conflitti, terrorismo e migrazione interna, rimarrà – appunto – solo un sogno.

TROPPO LENTO. Fino ad oggi il progetto ha contribuito a creare oltre 350.000 nuovi posti di lavoro, con ricavi per 90 milioni di dollari e 18 milioni di ettari di terreno recuperati. Tuttavia, a fronte di un investimento di oltre 200 milioni di dollari negli ultimi dieci anni, sono stati piantati solo 4 milioni di ettari di verde: per rispettare gli obiettivi del 2030 e riuscire a portare a termine la Grande Muraglia Verde, sarebbe necessario bonificare il doppio del terreno ogni anno, con un investimento annuo di oltre 4,3 miliardi di dollari: praticamente un'utopia.

DOVE FINISCONO I SOLDI? Non tutti gli stati sono allo stesso punto: l'Etiopia è la più virtuosa, con oltre 5,5 miliardi di semi piantati. Fanalino di coda il Burkina Faso, con solo 16,6 milioni di alberi piantati, e il Chad, con appena 1,1 milioni, nonostante entrambi i Paesi abbiano ricevuto più fondi.

 

Uno dei problemi principali è infatti controllare dove vanno a finire gli investimenti, e quanti alberi sopravvivano (se vengono davvero piantati): «Non abbiamo idea di dove vada a finire il denaro, e come venga usato», spiega Salwa Bahbah, ricercatore che ha partecipato alla stesura del report.

CAMBIO DI PIANI. Infine c'è la discussione su quale sia soluzione migliore. Secondo alcuni scienziati, infatti, in alcune regioni sarebbe più efficace una grande distesa di erba; altri sostengono che sia preferibile rifertilizzare il terreno e gestire le risorse idriche nelle zone più produttive, anziché piantare alberi in aree disabitate e remote. Chris Reij del World Resources Institute è convinto che gli obiettivi siano cambiati, anche se nessuno lo ammette: «L'idea originale era piantare una muraglia di alberi per frenare l'avanzata del deserto», spiega. «Ma credo che ora i piani siano cambiati, e si stia cercando di creare grandi aree verdi e produttive, anche se nessuno ne parla in questi termini».

lunedì 14 settembre 2020


 Se avete un gatto vi sarà certamente capitato (a meno che non viviate in un appartamento ai piani alti, e certe volte neanche in quel caso) di ritrovarvi sul cuscino un suo gentile omaggio: una lucertola, un topo, un uccellino, uccisi e portati in casa con tutte le cerimonie. È normale: i gatti sono cacciatori e se hanno modo di sfogare i loro istinti non si trattengono dall'ammazzare qualsiasi bestia selvatica si trovino davanti in giardino, in cortile o sul tetto di casa.

 

Be', che ci crediate o meno questo è un problema ecologico: perché se è vero che ogni singolo gatto uccide una manciata di animali selvatici ogni anno, è vero anche che i gatti domestici sono tantissimi! Bisogna limitare i danni, e uno studio che arriva dall'Inghilterra si propone di farlo... partendo dai padroni.

 

GATTI E GATTARI. Lo studio parte dal presupposto che per tenere sotto controllo i gatti domestici il primo passo da fare è lavorare con i padroni, ed educarli alle migliori pratiche di controllo che tengano in considerazione anche il benessere dell'animale. Il team ha quindi condotto un sondaggio su un campione di "gattari" inglesi (dove i gatti domestici sono circa 10 milioni in tutto il Paese), per scoprire quale sia il loro grado di consapevolezza (e di tolleranza) del ruolo di cacciatore del loro campione.

 

Hanno poi categorizzato le risposte dividendo i proprietari in cinque gruppi: i "custodi coscienziosi" (che si sentono responsabili dell'impatto ecologico del loro animale), i "protettori preoccupati" (che invece pensano prima di tutto alla salute del loro gatto, che durante una battuta di caccia può rischiare di ferirsi), i "guardiani tolleranti" (che non apprezzano che il gatto vada a caccia, ma glielo lasciano fare), i "padroni di casa permissivi" (che non hanno idea di quanti animali uccida il loro gatto) e infine i "difensori della libertà" (per i quali il gatto ha diritto di cacciare dove, quando e quanto vuole).

 

LA TIGRE SUL SOFÀ. Stando allo studio, solo una categoria - sulle cinque - ha la coscienza ecologica necessaria per proteggere la fauna selvatica dal proprio gatto, ma è anche vero che solo una su cinque crede che il gatto abbia diritto di cacciare quanto e come vuole: questo significa che le altre categorie di gattari potrebbero essere favorevoli a una qualche forma di controllo. Che, si legge nello studio, non potrà mai essere il confinamento domestico, una misura che nessun proprietario di gatto (con accesso a un giardino) potrebbe mai accettare.

 

L'alternativa è da trovare, e che sia una di quelle che vanno bene a gatti e gattari. C'è chi propone il ricorso su vasta scala dei collarini colorati o, peggio, con sonaglietti, per "avvertire" uccelli e altre prede dell'arrivo del cacciatore. Tuttavia i gatti sono fermamente contrari, e anche tra i gattari c'è chi non è contento all'idea di dover pagare uno psicologo per tirare su di morale la piccola tigre frustrata dai fallimenti della caccia.


martedì 8 settembre 2020

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