Da sempre il nemico dell’uomo è la paura. Spesso nasce dentro di lui ma prende forma negli altri. Non a caso Kant sosteneva che per evitare le guerre occorre federare gli Stati, renderli più vicini. Non a caso Altiero Spinelli e gli altri padri del Manifesto di Ventotene sconfissero il terrore di nuovi conflitti nell’isola del confino.
Stiamo arrivando al punto in cui l’antagonista di un paese sono gli altri paesi, l’immobilismo è la ricetta per evitare il cambiamento, la “mediocrazia”, la dittatura della mediocrità, l’antidoto del merito. Nessuno si occupa di guardare al domani, è chiuso nella fortezza dell’oggi. Speriamo che nei mesi successivi al vertice agostano nell’arcipelago pontino, François Hollande, Angela Merkel e Matteo Renzi siano capaci di decisioni concrete e non solo di discorsi di convenienza sull’esercito europeo, il Migration Compact e il piano per i giovani, giusti ingredienti italiani dell’agenda comunitaria. Ecco qualche punto saldo per un nuovo Manifesto.
Sicurezza. Ci sentiamo in pericolo perché siamo tutti in pericolo, siamo tutti sotto il tiro dei nuovi terroristi, della rivoluzione tecnologica che rende tanti lavori precari, delle scelte sbagliate di amministratori e dirigenti. Dopo le stragi di Parigi, Bruxelles, Nizza e i tanti agguati omicida, sembra chiaro che oltre ad un esercito comune serve anche un’intelligence europea, un Fbi continentale, perché quelle nazionali non dialogano, ed è fondamentale poter avere accesso a tutti i segreti custoditi negli smartphones. L’alternativa sarebbe oscurare la rete Internet, visto che i terroristi si abbeverano di informazioni e dialogano attraverso la rete, ma sarebbe da regime dittatoriale.
Sicurezza. Ci sentiamo in pericolo perché siamo tutti in pericolo, siamo tutti sotto il tiro dei nuovi terroristi, della rivoluzione tecnologica che rende tanti lavori precari, delle scelte sbagliate di amministratori e dirigenti. Dopo le stragi di Parigi, Bruxelles, Nizza e i tanti agguati omicida, sembra chiaro che oltre ad un esercito comune serve anche un’intelligence europea, un Fbi continentale, perché quelle nazionali non dialogano, ed è fondamentale poter avere accesso a tutti i segreti custoditi negli smartphones. L’alternativa sarebbe oscurare la rete Internet, visto che i terroristi si abbeverano di informazioni e dialogano attraverso la rete, ma sarebbe da regime dittatoriale.
Viviamo una situazione paradossale: è stato possibile ascoltare le telefonate di Angela Merkel ma non si può violare la privacy tele-mnemonica dei possibili attentatori. Occorrono quindi cervelli ‘interconnessi’ e alle dipendenze di un’unica agenzia investigativa comunitaria che sappia garantire la sicurezza non solo dei palazzi del potere di Bruxelles ma di tutti i civili. I paesi dell’Est Europa si stanno già attrezzando, erigendo muri e indicando come nemici gli immigrati. Può essere un esempio fatale anche per gli altri partner europei, dove i partiti xenofobi e anti-europeisti addebitano la scarsa sicurezza alla religione, agli immigrati, ai diversi. Ma è davvero la religione il problema? In Belgio e in Francia hanno operato cellule jihadiste composte spesso da fratelli, apparentemente inseriti nel contesto del paese in cui sono nati. I terroristi hanno il nostro stesso passaporto europeo e spesso non è gente che vive rintanata in moschea.
Dobbiamo capire se è la religione islamica la molla che trasforma persone apparentemente normali in aspiranti suicidi perché compiono stragi in nome di Allah. E lo dobbiamo fare in fretta perché ogni generalizzazione è la benzina per tutte formazioni xenofobe. In fondo, anche i nazisti avevano scritto sulle loro fibbie Gott mit uns (Dio è con noi), come i crociati sfoggiavano l’emblema del supplizio di Cristo. Ma gli obiettivi di quelle guerre non avevano poi nulla di religioso.
Il ministro dell’Immigrazione Ue? Erdogan. I rappresentanti dei 19 paesi dell’Eurozona e dei 28 (ora dopo la Brexit, 27) dell’Unione partecipano con disincanto e insofferenza a miriadi di vertici inutili in cui si fa finta di trovare soluzioni ai limiti di bilancio, all’exit strategy sui migranti (l’ultima, assurda, appalta tutta la questione ad un paese, la Turchia di Erdogan, che non è nell’Ue e sta facendo di tutto, dopo il fallito golpe, per non entrarvi mai), alle strategie anti-terrorismo e alle trattative su questo o quel salvataggio. Il risultato è che i paesi fondatori, Francia, Germania, Italia, non hanno una meta precisa né sanno dove andare. Gli americani, decisivi per la vittoria nella seconda guerra mondiale, stanno apparentemente a guardare, l’unico ad avere le idee chiare sui muri da abbattere è un uomo chiamato Francesco. Mentre il Papa incontrava i profughi di Lesbo, il presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, partecipava ad un meeting del Fondo monetario internazionale. Il miglior spot anti-europeista che si potesse immaginare.
Più potere alla Bce. In questo contesto deteriorato e inedito (tassi a zero, bond sovrani con rendimenti negativi, crescita fiacca, deflazione) la politica monetaria della Banca centrale europea avrebbe decisamente più successo se applicasse direttamente il Piano Juncker da 300 miliardi di euro, comprando essa stessa titoli della Banca europea degli investimenti per poi immetterli nell’economia, piuttosto che continuare a stampare denaro per le banche attraverso il Qe. Per uscire da questo purgatorio, non basterà la solita flessibilità di qualche decimale invocata da Matteo Renzi, ma occorrerà davvero un approccio keynesiano, che sleghi dal deficit la spesa per investimenti. Gli europei sono oggi il 7% della popolazione mondiale, producono il 25% del Pil globale e consumano il 50% del welfare planetario: pochi ma benestanti rispetto al resto del mondo. Significa, soprattutto, che migranti e terroristi troverebbero sempre una strada per farsi largo tra di noi, a prescindere dalle evidenti diverse motivazioni.
E a prescindere dal ritorno dei confini e delle monete nazionali. Ma la globalizzazione, invece, si affronta solo con l’Unione. Una grande Conferenza Europea. Bisogna quindi smettere di pensare di potere dare una risposta alle istanze di 500 milioni di persone esclusivamente con la leva finanziaria o con la politica monetaria. Non bastano più. L’integrazione europea, dal punto di vista economico, è soprattutto retta da Trattati internazionali ma non ancora europei e da Regolamenti che hanno assunto illegittimamente il rango di Atti costituenti, come il Patto di stabilità.
Il Fiscal Compact e il Six Pack, regolando invece in modo pro-ciclico la possibilità di indebitamento dei paesi dell’Eurozona, di fatto hanno peggiorato la recessione. A questo si aggiungono la direttiva sui salvataggi bancari (il bail in) e l’Unione bancaria. Ma ridurre i rischi senza condivisione del debito, senza un Tesoro europeo che emetta eurobond e senza tutela unica dei depositi, porta alla creazione di un euro di fascia A e un euro di fascia B. Per evitarlo serve un Tesoro unico europeo che emetta titoli di debito comunitari e indichi le politiche economiche da perseguire. Questo sì che rappresenterebbe una riaffermazione della politica. Un mucchio di carta ci sta sommergendo e addirittura a Bruxelles si pensa di cominciare a farne a meno.Dovremmo avere il coraggio di riscriverli da zero questi protocolli, salvando solo il Trattato istitutivo dell’Unione.
Per battere l’Euxit, in vista dei 60 anni dal Trattato di Roma, occorre convocare una grande Conferenza che abbia all’ordine del giorno tre compiti: la redazione di una Costituzione Europea, il rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, la riforma della legge elettorale con espressa scelta del Presidente della Commissione da parte dell’elettorato. Solo così si riuscirà a passare dall’attuale Confederazione ad una vera Federazione di stati. Ora siamo nella terra di mezzo, uno spettacolo che hanno vissuto con esiti nefasti sia l’ex Jugoslavia che l’Unione Sovietica dopo la loro implosione.
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