mercoledì 18 gennaio 2017

44 anni fa, i Pink Floyd in studio per registrare Dark Side of the Moon

Su The Dark Side of the Moon si è detto e scritto di tutto: l’album più famoso dei Pink Floyd, quello più furbo, quello più maturo. Un lavoro non all’altezza delle sperimentazioni all’epoca di Syd Barrett, un’opera magniloquente che segna una vetta irraggiungibile nel percorso della band. Un disco di canzoni, alcune molto belle, altre forse meno ispirate, ma con un suono che è stato capace di elevarsi a marchio di fabbrica. Il disco migliore dei Pink Floyd. Di sicuro non quello migliore.
Oggi vogliamo fuggire lo spettro di questa Babele della critica musicale, per raccontarvi cinque fatti, alcuni noti altri meno, alcuni pertinenti altri meno, che inquadrano il mondo che ruota
attorno a questa pietra miliare della musica leggera.
1) I Beatles?
Un esperimento da provare in cuffia. Alla fine del brano Eclipse, che chiude l’intero album, provate ad ascoltare con attenzione il canale audio di destra, possibilmente abbassando al massimo l’equalizzazione dei bassi sul vostro stereo. Il pezzo in questione termina su una pulsazione reiterata, un battito cardiaco, con la voce dell’usciere degli studi di Abbey Road a scandire le parole: “There is no dark side in the moon, really. Matter of fact it’s all dark. The only thing that makes it look alight is the sun”.  A un certo punto si comincia a percepire una sinfonia orchestrale sulle note di Ticket to ride dei Beatles.
La melodia proviene da una versione riarrangiata del brano dei baronetti e sono state fatte svariate congetture per spiegarne la presenza; la stava forse suonando in quel momento in un’altra sala degli Abbey Road Studios una qualche orchestra (I Beatles si erano sciolti tre anni prima) ed è rientrata in qualche canale di registrazione? Si tratta di una “sporcatura” dovuta all’utilizzo di un nastro usato? Tutto quello che sappiamo è che difficilmente potrebbe essere un semplice errore: i Pink Floyd erano dei perfezionisti e ancora di più Alan Parsons, tecnico del suono di Dark Side of the Moon.
2) Forme di vita extraterrestri
Se non siete assidui frequentatori delle teorie sugli alieni largamente diffuse in rete, forse ve ne sarà sfuggita una, molto in voga tra gli ufologi, che ha a che fare con la Dark Side of the Moon. Mentre I Pink Floyd potevano solo immaginare cosa albergasse nella metà oscura della luna, Milton William Cooper, ex ufficiale dei servizi segreti dell’US AIR FORCE, ha dichiarato sotto giuramento nel 1989 che il governo degli Stati Uniti è a conoscenza di “avamposti alieni” sulla superficie oscura del nostro satellite.
“Ci sono basi aliene”, ha dichiarato Milton Cooper, “avvistate dagli astronauti delle missioni Apollo. Ci sono anche delle fotografie che testimoniano questo fatto e raffigurano grandi astronavi e macchinari extraterrestri utilizzati forse per l’estrazione mineraria”. Purtroppo non c’è più modo di interrogare sul tema l’ex ufficiale, rimasto ucciso, pare, in un raid delle forze di Polizia nella sua casa in Arizona, in seguito a una denuncia per evasione fiscale.

3) Time
Gli Abbey Road Studios hanno rappresentato per l’evoluzione del rock una sorta di laboratorio magico, dove, tra gli anni ’60 e i ’70, Beatles e Pink Floyd si cimentavano in produzioni oramai slegate dal concetto di riproducibilità live del suono. Lo studio di registrazione diventava lo spazio della sperimetazione: molto di ciò che veniva registrato al suo interno era irriproducibile altrove e questa possibilità stimolava la fantasia dei musicisti.
The Dark Side of the Moon, con le sue tecniche di registrazione all’avanguardia, non faceva eccezione, anche se molte delle sue invenzioni sonore non sottostavano a rigide regole di fonia, basandosi sull’estro del momento. In questo senso il celeberrimo incipit del brano Time, caratterizzato dalle sovraincisioni del ticchettio di orologi e dal trillo di sveglie, raccontato con le parole di Alan Parsons, sembra più frutto dell’inventiva di un vecchio alchimista che non di un fonico: “Ho effettuato quelle registrazioni stereofoniche in un vecchio negozio di orologi che si trovava proprio accanto allo studio. Ce n’erano tantissimi. Ho chiesto gentilmente al proprietario di fermarli tutti e li ho registrati uno a uno, per poi sincronizzarli pazientemente sul multitraccia.”
4) Mondi paralleli
Se le ipotesi che la fisica teorica va formulando da qualche decennio hanno un fondo di verità, allora potrebbe esistere un mondo parallelo, uno degli infiniti percorsi limitrofi a quello che stiamo vivendo, nel quale The Dark Side of the Moon non è un marchio riconducibile ai Pink Floyd. E forse il mondo di cui stiamo fantasticando ha per un attimo incontrato il nostro; spieghiamoci meglio. Fino al 1972 il titolo del disco dei Pink Floyd non aveva nulla a che fare con il lato oscuro della luna; infatti, la band di Roger Waters aveva scelto di utilizzare Eclypse come nome del lavoro. Questa decisione era dovuta al fatto che un’altra band li aveva preceduti: i Medicine Head, che nel 1972 diedero alle stampe il loro Dark Side of the Moon.
Purtroppo per loro, quello in cui viviamo si è rivelato il mondo parallelo sbagliato e, visto il veloce fallimento dell’album in questione, i Floyd poterono tranquillamente appropriarsi del titolo. Ma ora chiudete gli occhi e ascoltate questo brano, immaginando, per un attimo, che abbia scalato le classifiche di tutto il mondo e che non esistano i Pink Floyd…
5) The Great Gig in the Sky 
Questa storia probabilmente la conoscete già tutti. The Great Gig in the Sky è un brano scritto da Richard Wright, nel quale dominano i vocalizzi di una strepitosa voce femminile, che tesse un trama divenuta un archetipo rock. La cantante in questione venne convocata da Alan Parsons agli Abbey Road Studios il 21 Gennaio 1973; si chiama Claire Torry, una turnista vocale molto dotata, all’epoca quasi ventiseienne.
Claire riferì che la band, a lei sconosciuta, sembrava terribilmente annoiata dalla lavorazione del disco e che le fu data la vaga istruzione di improvvisare vocalmente su di un brano strumentale. In quel momento scattarono in lei due intuizioni geniali, che resero la performance leggendaria: “Mi venne detto di non cantare parole: allora pensai di replicare con la voce una chitarra e a un certo punto mi sentii una Gospel Mama”. La Torry fu liquidata con 30 sterline per 3 ore di lavoro. Nel 2005 le vennero riconosciuti i diritti autoriali sul pezzo, fino a quel momento firmato, sicuramente a torto, a solo nome Richard Wright.

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