Ogni qualche secondo, le nostre palpebre si chiudono e il bulbo oculare si riposiziona, inumidendosi. Succede 15-20 volte al minuto, 10 mila volte al giorno. Ma perché questi ammiccamenti non provocano una sensazione di buio intermittente?
Merito del cervello, che compie uno sforzo extra per rendere stabile la vista e compensare queste micro pause.
Uno studio coordinato dall'Università della California a Berkeley e pubblicato su Current Biology dimostra che a ogni battito di ciglia, facciamo molto di più che lubrificare gli occhi ed eliminare il pulviscolo esterno. Il cervello ne approfitta per riposizionare i bulbi oculari, riattivando i muscoli delle palpebre affinché lo sguardo ritorni concentrato sull'oggetto del suo interesse.
UN ATTENTO REGISTA. «I nostri muscoli oculari sono pigri e imprecisi, quindi il cervello ha bisogno di adattare costantemente i suoi segnali motori per fare in modo che gli occhi puntino dove devono» spiega Gerrit Maus, tra gli autori. «Il cervello valuta la differenza tra quello che vediamo prima e dopo l'ammiccamento, e comanda ai muscoli di compiere i dovuti aggiustamenti». Grazie alle previsioni, e alle misure correttive, del cervello, ci facciamo un'immagine coerente dei dintorni e non vediamo sfocato ogni volta che riapriamo gli occhi.
L'ESPERIMENTO PIÙ NOIOSO DEL MONDO. I ricercatori sono arrivati a questa conclusione costringendo una dozzina di volontari a trascorrere molto tempo in una stanza buia fissando un puntino luminoso, che veniva spostato di un centimetro a ogni loro ammiccamento. Le telecamere infrarosse hanno monitorato i loro movimenti oculari, e dimostrato che, anche se i soggetti non si accorgevano degli spostamenti, il loro cervello obbligava gli occhi a riposizionarsi sul punto corretto.
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