venerdì 31 marzo 2017

CINEMA - "Un tirchio quasi perfetto" RECENSIONE

La cultura francese ha un rapporto antico con l’avaro, non fosse che per la versione teatrale memorabile di Molière, creatore dell’archetipo del taccagno contemporaneo. Curioso, quindi, che il cinema francese non ne avesse mai approfittato, dedicando un
film intero a questa categoria, mai in via di estinzione, di abitante del nostro pericolante mondo contemporaneo. Questo fino a che Fred Cavayé non decidesse di cinentarsi nella scrittura e poi nella messa in scena di una commedia: genere a lui non abituale, a cui si avvicina ora anche per la crisi (d’incassi) del suo amato polar, di cui è stato uno degli interpreti recenti di maggior successo, accanto (e talvolta insieme) a Olivier Marchal. Per farlo si è affidato al re della commedia transalpina Dany Boon, che dopo aver preso in giro le idiosincrasie delle varie regioni della sua Francia (da noi riadattate in Benvenuti al sud), vive in un buen retiro a Los Angeles, dove ha come vicino di casa un’altra star francese, il cantante e attore Johnny Hallyday.
Un tirchio quasi perfetto, versione italiana del più stentoreo originale Radin! (Tirchio!), propone per la prima volta Boon in versione antipatica, per rendere al meglio la sua avarizia patologica, di cui sono evidentemente sviluppati più gli aspetti comici, rispetto a quelli paradossali e malinconici. Nato come nemesi di un padre spendaccione, il nostro eroe François prova gioia nel risparmiare, aprendo spiragli adrenalinici - quando usa una busta di ketchup scaduta da dieci anni - nella sua vita monotona. La sua casa buia - guai sprecare elettricità o acqua - è rappresentata da Cavayé come l’antro minaccioso di un orco, da cui esce solo scroccando passaggi qua e là, per impegnarsi nella sola attività che lo porta a donarsi, e non a chiudersi: il violinista in un’orchestra di provincia. La sua vita progettata al centesimo è scombussolata dall’arrivo di una timida e idealista ragazza che si dice sua figlia: galeotto fu un preservativo scaduto molti anni prima. Non solo, nello stesso giorno si innamora di una nuova venuta collega musicista.
Sommovimenti sufficienti a terrorizzare il nostro avaro, costretto ad avvicinarsi a una vita quotidiana normale, insidiato addirittura dai tanto temuti affetti. Occasione per costruire un percorso di crescita del protagonista, dopo una ventina di minuti iniziali (i migliori) di pura comicità giocata sulla sua avarizia: dalla povera cassiera del supermercato corretta per pochi centesimi a un classico del genere, la cena galante in un ristorante molto costoso. Mentire gli riesce facile, e anche l’ovvio avvicinarsi alle due donne apparse nella sua vita non è troppo banalmente risolto in un ribaltamento inverosimile della sua avarizia: tirchio si nasce e tirchio si muore.
Se Boon è al solito a suo agio nella comicità fisica e riesce a strappare sorrisi e qualche risata, particolarmente a fuoco sono i personaggi di contorno, da Noémie Schmidt figlia un po’ naif, alla timida cronica possibile fidanzata Laurence Arné, passando per un vicino sommerso dai bambini e dalle spese fisse e, soprattutto, l’esilarante figura del suo consulente bancario, diventato psicologo a tempo pieno solo per lui; “unico bancario che non sa dire di no”, come le rinfaccia la moglie.

Nessun commento:

Posta un commento