martedì 7 marzo 2017

Il mio calvario per una pastiglia di ecstasy.

Ha rischiato di morire per mezza compressa di ecstasy. Era il 16 ottobre del ’99, frequentava il terzo anno del liceo linguistico e si trovava in discoteca. Un amico le passò una pastiglia tagliata in Olanda con un veleno per topi. E’ sopravvissuta grazie ad un trapianto di fegato. Da
diciassette anni assume un farmaco che alcuni anni fa le ha fatto perdere quasi tutti i capelli e nel 2004 le ha provocato un cancro alla cervice. Dal 2001 incontra ragazzi e genitori nelle scuole per raccontare la sua storia. Ora lo fa da sola, ma ha iniziato con suo padre, Mario, che, nel suo calvario, non l’ha mai lasciata.
giorga 2“Agli studenti non dico mai: Non fatevi – spiega – Sarebbe inutile. Mi limito ad ascoltarli e ad invitarli a ricordarsi di me quando vogliono provare”.
E’ la storia di Giorgia Benusiglio, nata a Milano nel 1982, laureata in Scienze della formazione primaria all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi in Psicologia della famiglia (dal titolo “Relazioni e comportamenti a rischio in adolescenza”), che, due anni fa, ha deciso di raccogliere la sua esperienza in un libro: “Vuoi trasgredire? Non farti” (Ed. San Paolo) e in un docufilm, dal titolo: “Giorgia Vive”, diretto da Ambrogio Crespi (qui il trailer), presentato nel 2016 al Film Festival di Taormina e vincitore del premio “Cariddi della città di Taormina”. Sessantuno minuti, distribuiti da Multimedia San Paolo, coprodotti da Index Production e MB Rent.
Giorgia, cosa ricordi di quella sera?
Ero in compagnia del mio ragazzo e con amici avevo programmato che quel sabato avremmo assunto droga. A scuola nei giorni precedenti erano circolati opuscoli del Ministero della Salute che invitavano a fare un uso controllato ed equilibrato di droga. L’obiettivo del Ministero era ridurre il danno. Quella mezza compressa, però, mi ha spappolato il fegato, andato in necrosi. Sono stata sottoposta ad un trapianto. Non ho mai attribuito la colpa di quella sera al mio amico, né allo spacciatore che è stato arrestato, ma a me stessa, ingenua. Anche se.giorgia vive
Anche se..
Non voglio fare polemiche, ma quella politica per me era ed è sbagliata. Il proibizionismo non ha mai portato a risultati positivi, ma credo che anche legalizzare le droghe leggere sia errato. Non è così che si possono aiutare i ragazzi a non farsi e a punire gli spacciatori. Il ragazzino acquisterà sempre da uno spacciatore che venderà ad un prezzo inferiore. Ma preferisco non aggiungere altro.
Pensi che ascoltare i ragazzi nelle scuole o raccontare la tua storia sia sufficiente?Un’utopia! 
Li incontro sei giorni su sette, e li ascolto tanto. Se ne vedo mille a settimana, non li convinco tutti. Ma ti assicuro che i riscontri sono positivi. In tanti mi scrivono.
Percentuali basse?Non lo so e non importa, conta che qualcuno mi ascolti. Quando parlo con loro dico che è vero, ci sono differenze tra droghe leggere e droghe pesanti, ma che ognuna ha i suoi effetti. Anche uno spinello dopo anni di abuso ti rovina il cervello. E provo fastidio per quei genitori che mi dicono: “Una canna? Ma che male vuole che faccia? Ne ho fumate tante e sono ancora vivo”. Si vede che sfugge qualcosa. Non si è capito altro.
E cioè?
L’età in cui si comincia a fumare uno spinello è scesa a dodici anni. E non c’è differenza tra Nord e Sud, tra agiati e meno abbienti. Oggi nelle scuole se non fumi, sei fuori, non fai parte del gruppo. Sei uno sfigato. E ti isolano. La canna è solo la punta di un fenomeno ben più complesso. E’ questo che i genitori devono capire. Forse non ascoltano, non osservano a sufficienza i ragazzi. Se li ascoltassero, invece di limitarsi a sentirli, se li coinvolgessero, li rendessero partecipi, per esempio, di un fatto di cronaca, di un evento che capita in famiglia, ma anche ad altri compagni di scuola, farebbero aumentare l’autostima e l’autoefficacia dei figli. Questi due per me sono i fattori fondamentali di una crescita equilibrata dell’adolescente. Lo scambio continuo di opinioni con i ragazzi è anche un valido strumento per conoscerli. Ma a molti genitori questo sfugge.
E dei prof cosa dici?
In molti casi sanno, ma lasciano correre. Dicono che lavorano con pochi soldi e non vogliono fare gli eroi con genitori che oppongono resistenza. Molte volte manca la complicità tra di loro.
Ti muovi sola?
Per ora sì. E nelle condizioni di salute in cui mi trovo, non è facile. Prima andavo in giro per tre volte la settimana, oggi sto fuori anche per sei. Considero questa attività come una missione.
Ma cosa fai per cercare di convincere i ragazzi?
Racconto tutto quello che mi è successo subito dopo il ricovero in ospedale. E cioè che sono stata sotto i ferri per diciassette ore, che la mia vita è appesa ad un farmaco con cui è elevato il rischio di avere un cancro. Che mi ammalo facilmente. Che periodicamente devo controllare il mio sangue. Che ho smesso di danzare – dopo dieci anni – e ho accantonato il mio sogno di diventare una ballerina. Che ho difficoltà ad avere dei bambini. Che vivo con sensi di colpa nei confronti dei mie genitori e della persona che mi ha donato il fegato. E che ho pochi anni di vita. Questo fa paura. In genere dopo un trapianto come quello che ho subito, le statistiche parlano di una sopravvivenza di sei, massimo sette anni. Sono andata molto oltre. Per questo e per anni ho convissuto con il terrore di morire all’improvviso o di essere ricoverata per mesi. Per fortuna con l’aiuto dei miei genitori – che spesso si sono chiesti dove avessero sbagliato- del mio ragazzo e la fede in Dio, sono riuscita a rafforzarmi e a trovare serenità. Non posso fare progetti per il futuro? Pazienza. Vivo in modo intenso ogni attimo e non capisco chi mi dice che ama solo il venerdì e ha fretta di bruciare la settimana. Ho molti amici e studenti che mi seguono. Sarei morta. Invece sono qui, e sto provando ad aiutare molti ragazzi a dire, senza che se ne vergognino: NO, grazie! Questa, ora, è la mia gioia più grande. Ho avuto una seconda possibilità. E non intendo sprecarla.

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