La prima cosa che cattura l’attenzione è un’enorme banconota che fa da velatino e quindi lascia solo intravedere, intuire i contorni, immaginare quel che succede di là, prima che il sipario si apra, e che potrebbe anche anche non corrispondere. Il denaro, sembra dire
questo primo segno forte dello spettacolo, può distorcere la percezione e con essa la comprensione.
Siamo al Teatro Quirino di Roma e va in scena Puntila e il suo servo Matti, la commedia cheBrecht scrisse nel 1940 a guerra appena iniziata, rappresentata per la prima volta otto anni dopo, al suo rientro in Europa dopo l’esilio.
La regia condivisa è di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia del Teatro dell’Elfo e a Roma arriva rodata da due anni di repliche, ultima piazza prima della ripresa a Milano, la prossima stagione.
Considerata una variante di Dottor Jeckyll e Mister Hyde, la commedia ruota intorno alla figura di Puntila, ricco possidente dal doppio volto, doppio animo, doppia vita e, soprattutto, doppia condotta e doppie intenzioni nei confronti dei propri simili, ora considerati tali e quindi corteggiati e blanditi, ora tiranneggiati, respinti, licenziati.
Di mezzo l’alcol a cui è devoto più ancora che dedito che il nostro chiama grappa medicamentosa e che, come il denaro, offusca la vista e slabbra i contorni, ma poi innesca il ribaltamento prospettico. Tutto cambia: non solo il punto di vista, da sobrio a ubriaco, ma il mondo intero, le persone, le relazioni.
Le donne, da telefoniste pastorelle lattaie farmaciste, diventano tutte e in un sol colpo fidanzate ufficiali con tanto di anello (sottratto alle tendine). Il diplomatico stolto in cerca di dote, aspirante al ruolo di genero, prima lo chiama papi con il suo bene placito, poi viene liquidato come un ‘manico di scopa’ o un ‘cetriolo ammuffito’.
E poi Matti, anzi Matti, soprattutto, che da servitore e autista diventa il promesso sposo di sua figlia Eva. Peccato che lui non ci creda per nulla.
Ecco, in un mondo che gira veloce con la compiacenza di tutti e la scalata sociale è demandata al denaro, è al servo che tocca il disincanto. Un gradino più su, come il fulcro di una giostra da smontare man mano, stando al gioco per finta, per meglio fare segno quando i vecchi e nuovi mostri saranno scesi, uno a uno.
Da una parte l’alterazione dell’alcol e gli inganni dei soldi, dall’altra il principio di realtà, così solido e chiaro che Matti può permettersi di giocare di sponda, per scherzo, senza crederci mai, abbozzando con l’uno e con l’altra.
E’ la coscienza che deve (dovrà, dovrebbe) diventare autocoscienza, liberazione dai vincoli con il padrone e quindi emancipazione, come si evince alla fine, con la morale che arriva immancabile per bocca di Matti, come un monito, un’esortazione, mentre gli sconfitti escono di scena e sul fondale si proiettano i volti da Quarto Stato.
Ma per ora la coscienza si diverte a giocare, dando vita a esilaranti siparietti con Eva che sono i momenti migliori dello spettacolo.
Nei ruoli gli ottimi Luciano Scarpa ed Elena Russo Arman, deliziosa e buffa nella commistione Marylin-Marlene, divertentissima nel prodigarsi a superare le prove da futura consorte di un semplice servo, che lo stesso Matti, assai più appetibile del contendente, le mette davanti. Una scena per tutte, quella dello stivale, che Eva deve sfilargli dal piede di fronte al tifo dei commensali. Si schermirà di fronte all’ultima prova, una pacca sul sedere, perché, evidentemente, le suore preziosine dove è stata educata, hanno lasciato il loro segno indelebile.
La regia snocciola, brechtianamente, i temi brechtiani che ruotano intorno al rapporto servo padrone e alle derive capitalistiche che arrivano fino a noi, infilando con ricercata in-pertinenza battute e parole come ‘contratto a tempo indeterminato’, ‘posto fisso’, e forse anche ‘occasioni da cogliere nei momenti di crisi’. Ma tutto funziona ed è volutamente narrato, istrionico, sopra le righe, animato da caratterizzazioni che ritornano, come la risatina nasale sempre uguale e certe mossette, tic, gesti quasi coreografati che raccontano sicuramente di un meticoloso lavoro.
Lo spettacolo tutto si nutre anche di momenti cantati e musiche originali (Paul Dessau) suonate dal vivo, ma tutto innestato e indispensabile alla successione delle scene.
Vale la pena ricordare le due formidabili ‘carampane’ di Ida Marinelli e Corinna Agustoni mentre si scambiano ricette sulla conservazione dei funghi, animandosi e rianimandosi come due burattini tra una prova e l’altra dei due sposi promessi non mantenuti.
E poi c’è il Bruni capocomico, che evita lo sdoppiamento scegliendo di mantenersi in bilico tra una faccia e l’altra, anzi portando nell’una la memoria dell’altra. Ma è proprio questo il punto, il bianco e il nero dell’animo umano, pronto a virare per una lusinga, una mazzetta, due bicchieri di vino.
Della solida compagnia di dodici interpreti fanno parte anche Luca Toracca, Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo de Mojana, Francesca Turrini, Francesco Baldi, Carolina Cametti.
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