
PRIMO, NON NUOCERE. Quello di non fare danni è l'imperativo che ha guidato la ricerca: Shurin e colleghi hanno vagliato tutti i possibili effetti collaterali per l'ambiente prodotti dalla loro creazione. «Dobbiamo agire in fretta, se vogliamo fermare il degrado del pianeta», afferma Stephen Mayfield, direttore del Center for Algae Biotechnology dell'università della California e coautore dello studio, «ma dobbiamo essere sicuri dell'ecocompatibilità delle nostre alghe prima di avviare una produzione su larga scala.»
Per questo i ricercatori, sotto la supervisione dell'agenzia Usa per la protezione dell'ambiente (USEPA), hanno monitorato per 50 giorni la crescita e lo sviluppo delle alghe in campo aperto. Le Acutodesmus dimorphus a cui sono stati modificati i geni per la biosintesi degli acidi grassi e per favorire l'espressione della proteina fluorescente verde, coltivate insieme a altre specie non ingegnerizzate, hanno mantenuto i caratteri modificati in laboratorio e non hanno avuto impatto sulle altre specie. «I progressi compiuti in laboratorio hanno scarso valore se poi non è possibile riprodurre il fenotipo in un ambiente naturale», ha sottolineato Shawn Szyjka, autore principale dello studio e ricercatore della Sapphire Energy, azienda americana che ha promosso lo studio.
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