Era il 19 ottobre 1955 quando a Roma si stabilì di dare il via al Gran Premio Eurovisione della Canzone, noto agli anglofoni come Eurovision Song Contest. La televisione era appena nata per cambiare definitivamente il mondo, e L’Europa viveva gli anni della sua ricostruzione post
bellica, cercando di cementare un’unità che andava ritrovata. Per questi motivi, già dalla sua genesi l’Eurovision travalica il carattere di semplice manifestazione canora, per diventare un avvenimento in cui la politica, l’intrattenimento e la dimensione socioculturale si intrecciano in modo indistricabile; poco male se le canzoni passano in secondo piano – se escludiamo alcuni sporadici casi il profilo musicale della rassegna non è mai stato di alto livello.
L’edizione del 2017, la cui finale verrà disputata domani sera dopo le due semifinali, arriva alla suo atto conclusivo con 26 paesi coinvolti; da regolamento, chi vince avrà l’onore (e l’onere) di ospitare la prossima edizione, e si fa un gran parlare del possibile trionfo di Francesco Gabbani, dato per favoritissimo anche sulla spinta del desiderio condiviso che il Belpaese organizzi il festival nel 2018.
Ma quali sono stati i motivi di maggior interesse di queste due serate? In scena direttamente dall’International Exhibition Centre di Kiev, in Ucraina, su questa edizione pesa il clima di tensione tra Russia e Ucraina. Mosca ha infatti deciso di boicottare la manifestazione dopo che l’Ucraina ha negato l’ingresso nel Paese alla cantante russa Yulia Samoilova, colpevole di aver dato concerti in Crimea, la regione ucraina di cui Putin si è di fatto impadronito nel 2014.
Ma nonostante questa defezione, la manifestazione non è venuta meno al suo ruolo di fotografare la musica europea, virata più che altro al folklore, all’esotismo e, bisogna dirlo, a un certo trash autoconsapevole. Come ogni anno, L’Eurovision è un’occasione per entrare in contatto con la musica commerciale di paesi i cui cantanti raramente riescono ad arrivare alle orecchie del pubblico italiano passando per i canali tradizionali.
Ciò che comunque colpisce di più, e potrebbe davvero rappresentare una sorta di “case study” è l’allestimento dello show televisivo. Una festa popolare di dimensioni gigantesche, che richiede l’impiego di un’enorme macchina produttiva oliata alla perfezione. Niente viene lasciato al caso: lo spettacolo viene provato più e più volte in ogni suo aspetto, in maniera maniacale. I cantanti impegnati nelle due semifinali hanno provato la loro esibizione per intero tre volte. Non si mette a punto solo la parte vocale e quella dei movimenti degli artisti, ma si controllano anche i movimenti delle camere, gli stacchi della regia e gli eventuali effetti speciali. La finale di sabato verrà provata tre volte prima della messa in onda: una di queste prove verrà registrata, con la possibilità di mandarla in onda nel caso un qualunque intoppo dovesse minare la resa del live. Anche l’impiego di risorse produttive è ingente: a livello di materiali, per esempio, si è calcolato l’utilizzo di 180 chilometri di cavi, 258 casse, 212 microfoni, 30 telecamere (19 per la diretta, con due registi).
Gli ascolti si stabilizzano su numeri impressionanti: parliamo di 200 milioni di spettatori, con punte che possono raddoppiare se non addirittura triplicare tale cifra. Questi dati impressionanti sono il motore di uno show che spesso indulge nell’autoparodia, richiamando ancora più attenzione su di sé per il grande tam-tam che si produce sui social network. Quest’anno, tra proposte di matrimonio in diretta (è successo alla cantante Macedone Jana Burceska) ed esibizioni pirotecniche (come quella del cantante montenegrino Slavko Kalezic, che fa roteare una lunghissima treccia nera sopra il fisico scultoreo) lo spettacolo non ci ha risparmiato colpi di scena.
Sono stati in molti a twittare elogi nei confronti dell’efficienza e la funzionalità organizzativa di questo festival, spesso augurandosi che Sanremo possa ispirarsi a tale modello. Ma la realtà è che, nell’idea di chi inventò L’Eurovision, la kermesse europea avrebbe dovuto prendere come esempio proporlo la nostra manifestazione canora. Il punto secondo noi è un altro: in entrambi i casi la forma cannibalizza la sostanza, regalandoci sì ogni anno qualcosa di divertente da commentare su internet, e qualche spunto per fare salotto, ma ben poca musica capace di lasciare il segno.
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