È passato quasi un anno dalla morte di Prince e il 1 aprile ne sono passati trenta dall’uscita del suo album Sign o’ the times, da molti considerato il suo capolavoro.
Finché il musicista di Minneapolis è rimasto in vita, ha rovesciato sul pubblico un fiume di materiale in maniera capricciosa e disordinata. Spesso era difficile capire cosa avesse in testa, soprattutto dagli anni novanta in poi. Tra liti con le case discografiche, contratti miliardari, cambi di nome e di band, la musica di Prince si è trasformata in un farraginoso labirinto, in cui i capolavori si mescolavano al materiale meno ispirato o decisamente scadente.
Ora che è morto, questo fiume di musica si è fermato. Le acque si sono calmate ed è arrivato il momento di riascoltare con calma tutto. C’è ancora la grande quantità di materiale inedito che a partire da quest’estate comincerà a inondare il mercato (è prevista per giugno una ristampa di Purple rain con due dischi di inediti e due dvd live) ma queste operazioni non riguardano più Prince.
Ora che la sua discografia ha un inizio e una fine (39 album, oltre a una grande quantità di progetti paralleli) è il momento di dare a Sign o’ the times lo spazio che merita. Uscito il 1 aprile del 1987 come un doppio album, è una pietra angolare della storia di Prince, una summa della sua visione e una specie di profezia di quello che sarebbe accaduto dopo. Sign o’ the times è uno spartiacque e segna con decisione un “prima” e un “dopo”. Non solo nella sua carriera, ma nella musica afroamericana in generale.
Una nuova direzione
“In Francia un uomo molto magro è morto di una grande malattia con un piccolo nome”. Quando il 18 febbraio del 1987 arrivò nelle radio Sign o’ the times, il nuovo singolo di Prince, i fan capirono che qualcosa era cambiato. Un arrangiamento asciutto e minimale (tutto costruito con un sintetizzatore Fairlight), una chitarra elettrica blues e un cantato sommesso in cui si parla di aids, violenza metropolitana, povertà e droga. Una canzone quasi disperata, che sul finale si chiude a riccio dal politico al privato: “Sbrighiamoci, sposiamoci, facciamo un figlio: lo chiameremo Nate se è maschio”.
“In Francia un uomo molto magro è morto di una grande malattia con un piccolo nome”. Quando il 18 febbraio del 1987 arrivò nelle radio Sign o’ the times, il nuovo singolo di Prince, i fan capirono che qualcosa era cambiato. Un arrangiamento asciutto e minimale (tutto costruito con un sintetizzatore Fairlight), una chitarra elettrica blues e un cantato sommesso in cui si parla di aids, violenza metropolitana, povertà e droga. Una canzone quasi disperata, che sul finale si chiude a riccio dal politico al privato: “Sbrighiamoci, sposiamoci, facciamo un figlio: lo chiameremo Nate se è maschio”.
Recordar é viver!
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