sabato 21 dicembre 2019

ARRESTARO ROBERTO ROSSO. CENTRODESTRA

Come si cambia in politica. Nel 2012, in qualità di parlamentare del Popolo delle Libertà, aveva firmato un’interpellanza al ministro degli Interni contro
la nomina di un Prefetto, ritenuto moralmente colpevole di annoverare tra le sue amicizie un esponente della malavita organizzata, «coinvolto in gravi dinamiche criminali», compresi presunti scambi di voti. 
7 anni dopo, Roberto Rosso, 59 anni, politico di lungo corso del centrodestra piemontese, si è ritrovato ad accogliere con «larghi sorrisi» quello stesso esponente in odor di ’ndrangheta, chiedendogli un aiutino elettorale per conquistare un seggio alle elezioni regionali del 26 maggio scorso.
Ieri all’alba Roberto Rosso, uno dei punti di riferimento in Piemonte di Fratelli d’Italia e per sei mesi assessore regionale della giunta di centrodestra guidata da Alberto Cirio, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso, su ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Giulio Corato. 
Nel corso dell’operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia torinese, sono state arrestate altre 7 persone. Tra queste Mario Burlò, 46 anni, imprenditore nel settore del «Facility management», accusato di concorso esterno, in passato tra i vertici dell’Unione nazionale imprenditori, sponsor di varie società sportive. In manette anche esponenti criminali: Onofrio Garcea, 69 anni, e Francesco Viterbo, di 68. 
Ed è proprio Garcea, il faccendiere della criminalità organizzata con interessi tra Liguria e Piemonte, l’uomo contro cui nel 2012 si era «scagliato» Rosso da parlamentare, salvo poi tendergli la mano da candidato consigliere regionale.
Gli altri arrestati sono i gregari di questa storia di malaffare: Enza Colavito, 52 anni, amica di Rosso, e Carlo De Bellis, 54 anni, tutt’e due torinesi, ritenuti dagli inquirenti gli intermediari del «patto elettorale criminale». Soldi in cambio di voti dei clan.
L’arresto di Rosso è un colpo durissimo per il governo regionale di centrodestra, su cui si allunga l’ombra delle cosche ad appena sei mesi dall’inizio del mandato. Il presidente del Piemonte, che già aveva mal digerito il nome imposto da Fratelli d’Italia per la sua squadra di governo, si è detto «allibito, perché un’accusa di questo tipo è la peggiore per chi vuole rappresentare le istituzioni ed è totalmente incompatibile con il nostro modo di vedere la vita e l’impegno politico».
Cirio ha accolto le dimissioni di Rosso, raccogliendo ad interim il pacchetto variegato di deleghe - qualcuno ironizzando le definì “frattaglie” - che gli erano state affidate: dalla semplificazione amministrativa agli affari legali, dall’emigrazione ai diritti civili. «La mia urgenza ora è mettere in sicurezza l’immagine di questo Ente, che considera la criminalità organizzata il suo peggior nemico», ha aggiunto il presidente berlusconiano, che lascia trapelare l’amarezza per una nomina imposta da una delle componenti della sua maggioranza.
 «Io avrei fatto altre scelte, avrei preferito una giunta fresca, composta per intero da persone prive di vicende politiche di lungo corso alle spalle». Ma alla fine ha dovuto capitolare. Ora nega di essersi pentito, ma «se avessi avuto un minimo sospetto del modo illecito in cui Rosso è approdato in Consiglio regionale non solo non lo avrei nominato ma non ci avrei neanche mai preso un caffè».
Più dura la reazione della Meloni. «Chi scende a patti con mafia, camorra e ‘ndrangheta fa schifo», sbotta la leader di Fratelli d’Italia, annunciando l’immediata espulsione di Rosso dal partito: «Mi viene il voltastomaco».

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