mercoledì 19 agosto 2020

BATTERI ZOMBI

Grazie alle cure degli scienziati e con il giusto cibo a disposizione, batteri sepolti nei sedimenti oceanici dai tempi dei dinosauri sono tornati in vita, pronti a
nutrirsi e moltiplicarsi di nuovo. Lo studio su una popolazione di batteri "zombie" rinvenuta a decine di metri di prondità sotto i fondali del Pacifico ha lasciato di sasso la comunità scientifica: i microrganismi sono rimasti in uno stato di ibernazione per 100 milioni di anni, riducendo al minimo le loro funzioni vitali e sopravvivendo con pochissimi nutrienti. Eppure, quando ne hanno avuto la possibilità, in laboratorio, hanno recuperato l'antica baldanza, come se fossero rimasti in letargo un giorno soltanto. La scoperta è stata pubblicata su Nature Communications.

LO STRETTO INDISPENSABILE. Gli autori della ricerca, un gruppo di ricercatori giapponesi e statunitensi coordinati dalla Japan Agency for Marine-Earth Science and Technology e dall'Università di Rhode Island, hanno studiato circa 7.000 esemplari di un batterio ritrovato a 75 metri di profondità sotto i fondali del Pacifico, a 5.700 metri dalla superficie. I campioni di sedimenti in cui i batteri "dormivano" erano stati recuperati 10 anni fa durante una spedizione nel South Pacific Gyre, una specie di deserto nell'Oceano Pacifico meridionale, dove i nutrienti disponibili per la catena alimentare marina sono pochissimi.

L'ossigeno, però, non mancava. I ricercatori l'hanno verificato subito, spiegando che, se i sedimenti si accumulano lentamente sul pavimento oceanico, senza superare una velocità di uno o due metri ogni milione di anni, l'ossigeno riesce a permearli, in modo che microrganismi aerobici come quelli analizzati possano sopravvivere anche per milioni di anni.

DOVE ERAVAMO RIMASTI? Sopravvivere lì sotto deve essere stata una sfida: il fango in cui i batteri si trovavano era infatti ricoperto da uno strato di diossido di silicio, una sostanza impenetrabile da altri microrganismi. Da nessun'altra parte, sulla Terra, è possibile trovare sedimenti tanto morti e poveri di nutrienti. In ogni caso quando i ricercatori hanno ricreato in laboratorio l'equivalente di incubatrici per batteri, i microrganismi hanno dimostrato, dopo alcune settimane, di essere tornati a nutrirsi e moltiplicarsi: erano una comunità viva, altro che fossili di un lontano passato. Varie volte si è parlato di batteri più antichi di questi, ma in molti casi si sono rivelati frutto di contaminazioni recenti.
UNA QUESTIONE FILOSOFICA. Un fatto sconcertante è che non è chiaro se nei fondali, con così pochi nutrienti a disposizione, i batteri abbiano potuto compiere la divisione cellulare e riprodursi. Alcuni dei batteri analizzati potrebbero essere quindi, ancora di prima generazione - essere insomma gli stessi di 100 milioni di anni fa. Tuttavia, siccome ogni organismo vivente è in costante divenire, anche questi Matusalemme oceanici devono aver cambiato, sostituito e riparato vari pezzi nel corso di tutto questo tempo: spetta forse ai filosofi dire se siano gli stessi di 100 milioni di anni fa. Steven D'Hondt, microbiologo tra gli autori dello studio, lo spiega così: «A volte uso la metafora del martello di mio nonno. Mio nonno diede un martello a mio padre e mio padre lo diede a me. Abbiamo sostituito la testa due volte e il manico tre, ma è sempre lo stesso martello».

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