Ad Álex de la Iglesia piace giocare, e questo lo sappiamo un po' tutti; e poi non c'è niente di male. Álex de la Iglesia se la ride della misura, e sguazza nell'eccesso, e sappiamo pure questo. Álex de la Iglesia usa il cinema come un giocattolo, e volte
questo suo giocare diverte anche noi (come ad esempio con il recente Le streghe son tornate), altre invece proprio no.
Sfortunatamente, El Bar rientra in quest'ultimo caso.
Ma non è mica per i toni tutti sopra le righe, che il film dello spagnolo non funziona. Non è per il mix sconsiderato e sbilanciato di commedia nera, thriller e horror, che pure altrove aveva perversamente funzionato, come quelle pizze americane con sopra di tutto e di più. A El Bar non manca l'abbondanza degli ingredienti, ma manca una base ampia e solida abbastanza per contenerli.
Quando gli avventori di un localaccio di una piazza madrilena capiscono che, se le uniche due persone che sono uscite di lì sono state freddate da un cecchino e la polizia ha isolato la zona senza dare loro spiegazioni, è perché lì dentro con loro e tra loro c'è qualcuno o qualcosa che non deve assolutamente uscire, monta lento e inesorabile un gioco al massacro tra i protagonisti in lotta per la sopravvivenza.
Ma se la dinamica, in qualche modo, è quella de
La Comunidad, qui il giochino di de la Iglesia lascia il tempo che trova per colpa del totale disinteresse che ha, in maniera più ostentata che evidente, nei confronti della storia e delle sue regole.
Perché me ne possa fregare qualcosa di quel gruppo di bizzarri personaggi che lo spagnolo ha chiuso nel suo bar, non mi bastano le caratterizzazioni tagliate con l'accetta, che pure ci sono e che sono né migliori né peggiori di tanti horror con premesse analoghe. O meglio, mi potrebbero bastare, se si questi personaggi rotolassero ruvidi su un tappeto narrativo ben steso.
Álex de la Iglesia, invece, usa la storia come mero pretesto per mettere gli uni contro gli altri, per intessere alleanze provvisorie, far emergere tradimenti scontati, mostrare nella maniera più sfacciata possibile (anche con l'immagine) la natura bruta e grottesca dell'essere umano.
Che poi il personaggio che si salva dalla mannaia intrisa d'acido (quello corrosivo, non quello lisergico) dello spagnolo sia, a dispetto delle apparenze, in ogni senso possibile, ma anche in virtù delle stesse, quello della bellezza femminile di turno - che in questo caso è
Blanca Suárez dei film di
Almodóvar e delle pubblicità di
Intimissimi, che
de la Iglesia veste pochissimo già dall'inizio e che sveste progressivamente, fino ad arrivare a citare l'
Angelina Jolie che cammina mezza nuda per le strade di New York nel video di
"Anybody Seen My Baby" dei Rolling Stones - non fa altro che confermare come
El Bar sia il giocattolino un po' masturbatorio di un regista che, troppo spesso, non vuole saperne d'uscire dall'infanzia.
Un giocattolino che, in questo caso, quasi sempre, diverte solo lui.
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