Ti senti spesso messo in discussione, criticato e questo ti impedisce di ridere? Oppure è la tendenza a legarti al dito ogni cosa a farti trascinare appresso come un macigno incomprensioni e
malumore... Ebbene, una volta individuato l'atteggiamento che ti impedisce di ridere, prova ad esasperarlo e a tratteggiarlo in un personaggio, una caricatura ironica di te stesso o meglio di questo aspetto.
- Facciamo un esempio: se è la vena malinconica a tenerti in scacco, immagina che questo tratto si condensi e si esasperi nel "signor Tristanzuoli". Adesso chiudi gli occhi e immagina che aspetto potrebbe avere questo personaggio: ad esempio curvo, allampanato, con lo sguardo spento, intabarrato in abiti scuri e di taglio serioso...
- Immaginalo all'azione soprattutto nelle circostanze a lui meno consone: a una festa, di fronte a un successo, oppure in situazioni quotidiane, al lavoro, in famiglia, da solo. Descrivilo con la giusta dose di ironia.
- Se invece il tuo "problema" è la permalosità, o la tendenza al commento acido, o una rabbia costante, trasforma questi sentimenti in maschere. Potresti dar vita a un signor Permalosetti, a una signorina Acidelli, a un dottor Ringhioni...
Fatti aiutare dal tuo personaggio a ritrovare risate e ironia
- Dopo aver ben disegnato questa parte di te con l'immaginazione, allenati a riconoscerla in azione durante la giornata. Ad esempio, ti capita di sentirti solo o escluso? Immagina che questo vissuto appartenga al signor Tristanzuoli, visualizzalo curvo in un deserto intento a filosofeggiare sull'amicizia o sull'amore... Difficile rimanere seri...
- Oppure immagina il signor Permalosetti, vestito di una pelliccia irta di aculei rivolti verso se stesso mentre si aggira di soppiatto tra i colleghi in ufficio o i familiari a casa...
- Tutte le volte che ti senti invadere dal sentimento dominante o ti senti costretto a tenere, per coerenza, lo stesso atteggiamento serio, immaginati nei panni del tuo personaggio, osserva i tuoi/suoi comportamenti e lascia che il sorriso affiori sgretolando la maschera che ti soffoca.
Attenzione: non confondere l'ironia con il sarcasmo
Il confine è molto sottile ma lo si percepisce subito: quando qualcuno fa dell’ironia l’effetto sulla persona a cui è rivolta è quello di suscitare una risata, di stimolare una riflessione, di farlo sentire guardato da occhi benevoli, quand’anche esprimano una critica. Quando invece fa del sarcasmo l’effetto sull’altro è quello di pungere, ferire la sua sensibilità, di farlo sentire svilito, oppure in colpa o in difficoltà e di provocare in tal modo in lui una qualche reazione che vada a vantaggio di chi pungola. L’ironia dunque, se ben dosata, è creativa e fa bene alla salute, mentre il sarcasmo è sempre nocivo.
Ma poiché molti sarcastici pensano in realtà di essere ironici, e fanno danni a se stessi e agli altri, è bene fare ulteriore chiarezza. L’ironia è una funzione essenziale per l’uomo: uno sguardo un po’ distaccato e canzonatorio su un evento, una situazione, sugli altri o su se stessi, capace di osservare in modo panoramico, acuto e lucido, cogliendo gli aspetti ridicoli, effimeri, paradossali o grotteschi. Ad esempio come quando uno, ansiosissimo per un esame di studio, riesce a “vedersi da fuori” e a cogliere l’assurdità ridicola del suo eccesso di tensione, e una battuta riporta tutto alle giuste dimensioni. L’ironia dunque è leggerezza e visione d’insieme.
Il sarcasmo è volontà di colpire
Il sarcasmo è il suo contrario, che nasce spesso da un eccesso di ironia priva di cuore, incattivita da una prolungata frustrazione. Il sarcastico è dentro fino al collo nella situazione che prende di mira, la prende troppo sul serio, ne ha una visione alterata e parziale, non riesce a criticarla direttamente e utilizza la “frecciata” pseudo-ironica che otterrà solo un peggioramento delle cose. Ad esempio una madre che, stizzita, dice alla figlia: “Il tuo fidanzato? Sono certissima che a forza di congiuntivi sbagliati farà strada… scherzavo, ovviamente!”. Ma non è uno scherzo: è qualcosa che proprio non le va giù. Ora, a ognuno di noi può sporadicamente scappare una frase sarcastica, ma ci sono alcuni che hanno una spiccata tendenza a farne uso, tanto che il sarcasmo diventa il loro sguardo sulla realtà e la loro cifra di riconoscimento.
Evita chi ne fa abitualmente uso
- Il superiore: Ha un innato complesso di superiorità, indipendente da ciò che ha realizzato nella vita, che si traduce in un atteggiamento di “scontata saggezza” o di velato disprezzo verso l’altrui operato con le sue piccole e grandi preoccupazioni. Il suo sarcasmo è tutto diretto all’esterno. Su di sé, una garbata e affettuosa autoironia.
- Il disilluso: È cronicamente amareggiato dall’esistenza e non crede più nella felicità, tanto che quando essa si presenta lui non la riconosce, non sa viverla o la impacchetta in un sarcasmo carico di sconfitta. Sì, ha avuto qualche delusione, ma il suo sarcasmo maschera la paura di riprovare a mettersi in gioco e di soffrire.
- Il dipendente: È incastrato in una coppia in cui l’amore è stato vissuto male, con frustrazioni inespresse e umiliazioni non sfogate. Ora gli restano attaccamento e dipendenza dal partner che però è rimasto identico. Chiede l’impossibile amore di un tempo attraverso la critica sarcastica. Ottiene indifferenza, che potenzia il sarcasmo.
- Il maldestro: Ha un enorme bisogno di accettazione, di sentirsi unico e simpatico. Ciò lo porta a fare dell’ironia pesante, a forzarla fino a un sarcasmo che chiede l’applauso ma di cui in realtà dovrà chiedere scusa per aver ferito o offeso. È uno “spaccone psichico”, che non riesce a fare autoironia per paura di perdere valore.
- L'arrabbiato: È un misto di tutti gli altri quattro sarcastici. Neanche lui sa bene da dove nasca l’arrabbiatura, benché spesso sia riferibile a un rapporto da sempre molto conflittuale con almeno un genitore. Alterna ironia pesante, disillusione, superiorità reattiva e frecciate gratuite, ma la sua solitudine non cambia.
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