Può una pietanza recare la dicitura "carne" sull'etichetta se è base di piante? O se è stata ottenuta da proteine animali, ma senza macellazione? La questione è meno
filosofica e astratta di quanto si pensi, in un contesto - quello dell'industria alimentare americana, ma presto anche europea - sempre più affollato di alternative più o meno sostenibili alle classiche bistecche.
Come sappiamo, il costo ambientale della carne (di quella bovina in particolare) è estremamente alto: l'industria del bestiame è responsabile, da sola, di più emissioni di gas serra di quelle prodotte da altri settori. Esiste dunque un ampio mercato per le alternative a base di proteine vegetali e per la "carne sintetica", coltivata in laboratorio: ma con tutte queste opzioni sugli scaffali si pone un problema di marketing.
A OGNI COSA IL SUO NOME. La US Cattlemen's Association, che riunisce produttori e commercianti di carni bovine negli Stati Uniti, ha lanciato una petizione indirizzata al Dipartimento dell'Agricoltura affinché i termini "carne" e "manzo" siano riservati alle proteine derivanti da animali macellati. L'obiettivo è di evitare quanto era successo per l'industria casearia, dove il termine "latte" è ormai utilizzato anche per prodotti privi di proteine animali, a base di mandorle, soia, riso.
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SE LO METTI IN UN PANINO... Sul fronte opposto il Good Food Institute, un'associazione che promuove le proteine alternative alla carne, sostiene che anche se le etichette devono chiarire con esattezza la provenienza del prodotto, «indipendentemente dal fatto che sia ottenuto da manzo, soia o frumento, un hamburger ti dice che può essere cotto alla griglia, messo in un panino e servito con senape e ketchup». È dunque il contesto, che conta.
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