sabato 14 gennaio 2017

CINEMA - "ALLIED" (RECENSIONE)

Nel Marocco del 1942, la spia canadese Max Vatan (Brad Pitt) e la spia francese Marianne Beauséjour (Marion Cottilard) sono complici in una missione: loro malgrado s'innamorano e Marianne accetta di sposare Max e andare a vivere con lui a Londra.
Qualche tempo dopo, quando hanno dato luce a una bambina, il trauma: il comando avvisa Max che Marianne potrebbe essere una spia tedesca. Il cuore non accetta. Dove sarà la verità?
Allied - Un'ombra nascosta è, perdonate l'approssimazione della definizione, un drammone hollywoodiano che nessuno si sarebbe stupito di vedere negli anni Cinquanta, se non addirittura prima (non vogliamo scomodare Casablanca). Solo per questo dovrebbe attirare le nostre simpatie: il papà di Ritorno al futuroRobert Zemeckis, è un autore affascinato dalla storia così come dalla storia del cinema, appassionato di tecnica così come di generi. La pulizia del racconto e la costruzione elementare ma proficua della suspense, ben calibrata nel copione di Steven Knight (in proprio autore di Locke), sono la base di un racconto di genere come questo, e Zemeckis saprebbe come condurlo in porto. L'uso del condizionale suggerisce che il buco manchi dalla ciambella, che comunque mantiene un certo sapore. A nostro parere Allied ha due elementi che ne limitano l'efficacia.
Uno è di carattere soggettivo, e forse sarà difficile condividerlo con voi: Brad Pitt. L'attore ha più che dimostrato altrove non solo di saperci fare, ma anche e soprattutto di abitare e promuovere progetti cinematografici meno classici di questo: proprio per tale ragione la sua presenza in Allied suona un po' anacronistica per la sua carriera, perché subisce l'interferenza di figure interpretate in contesto simile, ma in registri meno glamour. Si pensi ai suoi personaggi di Bastardi senza gloria o Fury. Sappiamo che sarebbe ingiusto per noi procedere in questo modo, farci influenzare da ciò che che c'è al di là dell'inquadratura, ma con le star è un ragionamento che si sovrappone per forza di cose alla percezione delle loro performance. Non ha questo limite concettuale Marion Cotillard, che calza a pennello al modo in cui l'immaginario collettivo vedrebbe una spia francese seducente, e in un'operazione come Allied l'instinto del pubblico avrebbe un peso non indifferente.
Il secondo elemento non riuscito a pieno è la fattura visiva della messa in scena: Zemeckis con il fido direttore della fotografia Don Burgess ha concepito un'immagine piuttosto desaturatafredda e abbastanza contemporanea. La natura espressionista e raramente persino kitsch della storia (si veda la scena della tempesta di sabbia) si sarebbe sposata meglio a un discorso coreografico più aderente al cinema d'antan: ricerca di un simil-Technicolor? Un bianco e nero corposo? Più contrasti d'ombre? A Zemeckis piace sempre giocare col cinema, ma si ferma prima di portare il gioco fino in fondo. Possiamo capire perché lo fa, vuole credere nella vicenda che racconta, non vuole esagerare con le acrobazie linguistiche, perché vuole trasmettere al pubblico una storia prima che un'idea di cinema: una o due sequenze tensive funzionano come un orologio, e la lacrima è in agguato, non lo neghiamo. Allied però così mantiene due piedi in una scarpa, tra la nostalgia di un cinema antico e la crudezza contemporanea: se sei bravo come Zemeckis, riesci a saltellare senza cadere, ma nemmeno corri.

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