domenica 12 marzo 2017

“Immigrati clandestini”: band italiana cacciata dagli U.S.A.

Il loro nome è più famoso all’estero che da noi; i Soviet Soviet, trio di Pesaro che rielabora in chiave personale un suono new wave figlio tanto dei Joy Division quanto dello shoegaze, era arrivato, grazie a un’attività live intensa e continuativa a livello internazionale, a procurarsi una
serie di esibizioni negli States. Lo showcase trasmesso dalla radio di Seattle KEXP e il concerto al famoso festival SxSw (South by Southwest) di Austin, due delle tappe più prestigiose del mini tour americano della band, sarebbero stati eventi con finalità puramente promozionali, ai quali la band avrebbe partecipato senza percepire un compenso: “Sapevamo che se avessimo percepito un compenso avremmo dovuto fare il visto lavorativo. Non era questo il caso e le fonti che avevamo consultato ci avevano tranquillizzato al riguardo”, scrive il gruppo in un comunicato facebook ufficiale.
I Soviet Soviet di Pesaro
I Soviet Soviet di Pesaro
Ma qualcosa è andato storto. Atterrata a Seattle l’8 marzo, la band incontra subito il sospetto e la diffidenza degli addetti ai controlli dell’aeroporto, che trattengono i tre componenti del gruppo Alessandro Costantini, Andrea Giometti e Alessandro Ferri in tre differenti stanze adibite gal interrogatori dei viaggiatori sospetti. Dopo quattro ore di domande, e nonostante i tre avessero messo in contatto gli agenti con i vertici della loro etichetta discografica americana, i Soviet Soviet vengono dichiarati immigrati clandestini, ammanettati, condotti in prigione e privati dei loro effetti personali: “Verso le 22.30 si sono presentati due ufficiali carcerari che ci hanno perquisito, ammanettato e portato in carcere tramite camionetta. Abbiamo passato la notte in cella scortati alla stregua di tre criminali.” recita sempre il loro comunicato.
Poi il giorno seguente, alle 13, il volo di ritorno, e il sollievo generalizzato di essere usciti da una situazione violenta e intimidatoria. Resta l’amarezza, lo stupore e lo sbigottimento: “Siamo partiti con tutti i documenti del caso, i passaporti e le varie dichiarazioni con le quali chiarivamo che il nostro tour era solo per promozione e non per guadagno” sottolinea la band, come a ribadire l’impossibilità di farsi una ragione dell’accaduto.
Tra le migliaia di commenti di solidarietà al gruppo c’è chi si scusa a nome di tutti gli americani, chi invita la band a lamentarsi con il loro management, chi se la prende con Trump per la stretta sull’immigrazione e chi fa notare che le leggi che regolamentano queste procedure sono state introdotte da Obama. Qualcuno chiama in causa lo spauracchio di un nome. Soviet Soviet, che richiama l’incubo del “nemico” sovietico: “Se vi foste chiamati Texas Texas avrebbero steso un tappeto rosso e vi avrebbero organizzato un tour di 100 date” ironizza un utente del web.

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