venerdì 9 febbraio 2018

. CINEMA - Maze Runner: La Rivelazione Recensione

Si chiude con questo film la trilogia basata sui libri di James Dashner (non c’è certezza sulla trasposizione al cinema anche dei due prequel). È l’unica serie tratta da romanzi young adult ambientati in un futuro distopico ad essere stata diretta senza
cambi di regia. Bisogna in effetti riconoscere la progressiva padronanza con la quale il 38enne Wes Ball, che aveva esordito alla regia con il primo film, ha saputo gestire uno stile visivo, una narrazione e un cospicuo numero di attori. Il regista è cresciuto insieme alle dimensioni e alle ambizioni della saga, la quale ha senza dubbio beneficiato del suo contributo artistico dall’inizio alla fine.
A parte il buon incipit del misterioso labirinto, l’originalità per Maze Runner non è un punto di forza: gli scenari post-apocalittici, il virus mortale, gli pseudo morti viventi, la società distopica, la resistenza dei ribelli, sono tutte cose già viste. In questo però c’è la consapevolezza degli autori che si rivolgono ai tanti giovani fan dei romanzi, coinvolti per la prima volta dai temi toccati dalla trilogia, come amicizia, tradimento, amore, sacrificio, le questioni morali e il labile confine tra il bene e il male, ma contemporaneamente si rivolgono al pubblico più maturo offrendo un intrattenimento ammirevole al pari di un film d’azione di grosso calibro.
Maze Runner: La rivelazione non si sente per niente un sequel di una sotto serie del cinema americano. Dura due ore e venti e prende il tempo che gli serve per completare gli archi narrativi di tutti i personaggi, primo su tutti il leader Thomas interpretato da Dylan O’Brien. Dall’assalto al treno della sequenza di apertura al concitato finale nella città che sta collassando, il film di Wes Ballriesce ad appagare tutti, si fa perdonare le lungaggini e consolida la sua posizione di valida alternativa, se non qualcosa di più, alla più famosa saga di Hunger Games

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