sabato 30 settembre 2017

A volte troppa memoria... fa male!

Sentite questa storia: Mario, imprenditore di 43 anni, da tempo deve vedersela con la percezione di essere inadeguato e incompetente in molte circostanze, a dispetto del fatto che da diversi anni è a capo dell’azienda familiare, con successo.
Mario si è dimostrato capace in diversi campi della vita, ha ottenuto brillanti risultati, ma non riesce a scalfire quella percezione di inadeguatezza che gli procura un profondo disagio e un’ansia perenne.

Ne parla spesso in psicoterapia e durante le conversazioni emerge continuamente la memoria della sua vita familiare, dei difficili rapporti con i suoi genitori e con i suoi fratelli.
Dal magazzino della sua memoria escono frammenti sempre uguali di queste esperienze, come se le tracce di quei ricordi mandassero segnali che Mario percepisce e trasforma in pensieri distorti e in emozioni negative

La memoria non serve per soffrire per il passato

Mario ricorda che i suoi genitori, in occasione della bocciatura al primo anno del liceo, gli rinfacciarono il loro senso di vergogna per avere un figlio incapace. La memoria di questo evento è molto viva e si accompagna all’immagine ricorrente di sé adolescente seduto in cucina con i suoi genitori in lacrime e con la sensazione di un peso sul petto.
Ma perché arrivano questi ricordi? Qual è la loro funzione? Non certo quella di tormentarlo a vita! No, la memoria di quegli eventi sta dicendo a Mario che lui, nonostante le difficoltà di allora, nonostante le incomprensioni e i dolori, ce l'ha fatta e potrà farlo ancora.

Cervello e memoria: quale rapporto?

La psicoterapia si orienta proprio in questa direzione: aiutare Mario a considerare la memoria di eventi passati come qualcosa che serve alla vita di oggi, utile per andare avanti nella vita con ancora maggiore energia, non certo un territorio da esplorare con nostalgia o rimpianto. Dunque la memoria è come un viaggio che dal passato si affaccia nel presente, e che "serve" al presente.
Lo conferma uno studio del prof Daniel Schacter della Harvard University pubblicato recentemente sulla rivista “New Scientist”: il modo in cui ci proiettiamo nel futuro tiene conto dei dati conservati nella memoria autobiografica e dunque questa memoria è un archivio che serve alla vita di oggi e a quella di domani, non a tornare su episodi del passato che non esistono più.

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